Il terremoto colpì 54 comuni tra le provincie di Bologna, Modena, Reggio Emilia e Ferrara. I morti furono 28. Le prime scosse furono registrate il 20 maggio, 5,9 della scala Richter e provocarono ingenti danni e 17 morti. Poi la terrà tremò ancora il 29 maggio e provocò altri morti tra cui il parroco di Rovereto di Novi, don Ivan Martini, il prete dei malati e dei detenuti, che perse la vita colto dalla scossa in chiesa durante un sopralluogo per recuperare una statua della Vergine. Papa Benedetto XVI cinque anni fa il 26 giugno andò proprio lì a rendere omaggio a quel sacerdote.
A cinque anni da sisma il comparto produttivo della zona è ripartito, ma sono i piccoli centri il punto dolente della ricostruzione. Per ricostruzione di case e aziende sono stati previsti quasi quattro miliardi di euro, la metà già spesi con cui sono state ripristinate quasi 26 mila tra abitazioni e attività produttive. L’ultima legge di stabilità ha assegnato all’Emilia per la ricostruzione ulteriori risorse per 127 milioni di euro soprattutto per il ripristino di edifici pubblici. Tra essi 42 milioni sono destinati alle chiese, a cui sono stati assegnati anche 39 milioni di euro del cosiddetto Piano Franceschini per interventi mirati su 13 edifici religiosi. La ricostruzione delle scuole è stata completata e oggi il 70 per cento della popolazione colpita dal sima è tornata a casa. Gli ultimi 27 moduli abitativi provvisori saranno smontati nelle prossime settimane.
Carpi non è stata la città più colpita. I più danneggiati sono stati i Comuni di Mirandola, San felice sul Panaro, Finale Emilia e Cavezzo con il 75 per cento degli edifici inagibili. La ricostruzione ha funzionato perché è stato realizzato un ottimo lavoro coordinato di squadra, anche se rimane molto da fare, privilegiando per prima cosa l’occupazione. Il distretto del biomedical di Mirandola non ha perso nulla anzi ha aumentato le proprie performance con l’arrivo dopo il terremoto di nuovo capotali stranieri e nuova occupazione.
Per il recupero e il restauro della cattedrale di Carpi sono stati spesi circa 5 milioni di euro, di cui poco più di 4 milioni finanziati dalla Regione con i fondi per al ricostruzione e il resto messi dalla diocesi e da donatori privati. In tutto sono state riaperte al culto nella zona del terremoto 118 chiese. Lo scorso ottobre era stato riaperto il Duomo di Guastalla nella diocesi di Reggio Emilia. Rimangono fuori molte pievi minori soprattutto nelle campagne. Il vescovo di Carpi mons. Francesco Cavina, che ha avuto il privilegio di accogliere due Papi in cinque anni, fin dai momenti successivi al terremoto aveva deciso di puntare prima sulle ricostruzione delle attività lavorative. A che lui per anni ha vissuto in abitazioni precarie, camper compreso.
Mons. Cavina un giorno del 2013 decise di donare il suo crocefisso d’oro agli operari di una fabbriche che rischiava di chiudere per il calo delle commesse in seguito ai danni delle strutture. Qual crocifisso servì a costruire un nuovo capannone che lui stesso andò a benedire l’anno successivo.