FilippoTortu posa accanto al tabellone luminoso che segnala il primato italiano stabilito a Madrid, il 22 giugno 2018.
A casa Tortu la corsa veloce è una passionaccia di famiglia, ma niente è come sembra. Quei 100 metri in 9”99 che Filippo Tortu, primo italiano nella storia sotto i 10 secondi netti, ha corso a Madrid il 22 giugno 2018, togliendo a Pietro Mennea il record italiano, non sono figli di un vento che spinge dove vogliono i padri, ma di una brezzolina leggera e sbarazzina, che soffia dove le pare, assecondando il talento e il destino.
«Non sono stato io», spiega il padre Salvino Tortu, avvocato, con trascorsi professionali in Publitalia, che vent’anni fa ha cominciato ad allenare ragazzi e amici nella velocità, fino a trasformare un hobby in un mestiere, «a portare i miei figli verso l’atletica, ho solo caldeggiato il fatto che facessero uno sport qualsiasi di loro gradimento. Il maggiore, Giacomo, ha scelto l’atletica incuriosito da un volantino nella cassetta della posta, Filippo per imitare il fratello».
Quello che papà Salvino non avrebbe potuto immaginare è che il più talentuoso dei suoi allievi gli sarebbe nato in casa, nel 1998, proprio quando l’atletica stava diventando per lui una faccenda seria: «Se faccio una cosa, mi piace farla bene e ho studiato la velocità fino a conoscerla a livello professionale. Quando Filippo ha iniziato a correre, avevo già allenato Giacomo con risultati internazionali nelle categorie giovanili. Ho capito subito che Filippo aveva numeri nello sport: l’ho visto provare da piccolo sci, nuoto, basket riuscendo bene in tutto».
Filippo gli fa eco: «Ho scelto definitivamente l’atletica soltanto a 14 anni», giusto in tempo per incappare, alla prima gara internazionale, in un incidente fantozziano: «Mi sono rotto tutte e due le braccia, cadendo sul traguardo». Chiunque altro al posto suo avrebbe detto “Mai più!”: «Avrei preferito non succedesse, ma mi è servito a imparare presto a gestire la difficoltà di un infortunio, fattore inevitabile nella vita di un atleta».
In questa risposta c’è tanto della filosofia di vita e di corsa che si respira nel ménage familiare di questa tribù di velocisti. Anche papà corre nella categoria master: ha vinto un campionato italiano over 35 pochi giorni dopo la nascita di Filippo, uscendo dall’ospedale con una scusa senza dire nulla a nessuno. E leggenda vuole che prima di sposarla, Salvino abbia sfidato in pista anche la mamma di Filippo: «Alleno Filippo come lui corre: mio figlio sa che l’importante è correre bene, decontratto, come se nelle corsie a fianco non ci fosse nessuno. Non ci lasciamo condizionare dalla pressione esterna: vogliamo continuare a divertirci al campo».
La famiglia Tortu al completo in una delle prime uscite pubbliche dopo il record. Da sinistra: il fratello maggiore Giacomo, 25 anni, mamma Paola (54), papà Salvino e Filippo.
E infatti Filippo è cresciuto, e crescerà ancora, perché la maturità atletica per lui a vent’anni è lontana, in modo del tutto diverso dal Mennea che si è lasciato alle spalle pochi giorni fa: niente carichi da fachiro, niente lavoro ossessionante sulla forza, ma tanta, tanta tecnica di corsa: «E infatti, anche se per me Mennea è un mito, sento di somigliare, fatte le debite proporzioni, di più a Livio Berruti (il campione olimpico dei 200 a Roma 1960, ndr), per come correva: una perfezione del gesto su cui lavoro, perché vorrei raggiungerla. E per come prendeva lo sport con il sorriso, come un divertimento: così è anche per me. Con papà c’è sempre dialogo: mi fido di lui, perché è la persona che anche fisicamente mi conosce meglio e ha studiato un metodo per allenarmi che esalta le mie doti, senza pretendere di cambiare le mie caratteristiche. Sono alto e, pur essendo migliorato nella partenza, do il meglio nella fase lanciata e l’elasticità è la mia qualità migliore. Il tempo di Madrid è un punto di partenza: per quest’anno il mio obiettivo è migliorarmi agli Europei».
A chi gli chiede quale sia il suo sogno per il futuro, il ragazzo risponde: «Partecipare a un’Olimpiade», dove il verbo scelto non è solo un mettere mani e piedi avanti, ma uno stile di vita e di sport: «Nella corsa e nello studio », Economia alla Luiss con borsa di studio intitolata a Mennea, «faccio un passo per volta: ma la cosa che più mi piace dei 100 metri è l’adrenalina di giocarmi il lavoro di un anno in uno scatto cortissimo».
A doverlo sintetizzare si direbbe che questo giovanotto d’altri tempi, che ama Pensiero stupendo di Patty Pravo, Lucio Battisti e s’ispira a un campione che ha vinto 38 anni prima che lui nascesse, corra come un fulmine tenendo i piedi per terra: per altri sarebbe una contraddizione in termini, un ossimoro, direbbero gli esperti di retorica, ma non per lui: «Il segreto», racconta la premiata ditta Filippo&-Salvino Tortu, sarda d’origine, milanese d’adozione, «è non parlare mai d’atletica a casa e non portare al campo le discussioni che a volte nascono tra padre e figlio».
Un equilibrio che, svela Filippo, si costruisce in tre: «Senza mamma, con cui ho un ottimo rapporto e che è bravissima a mediare tra me e papà, sarebbe tutto più complicato».
Ora si tratta di restare sé stessi, di far sì che l’aver abbattuto il “muro” (così l’atletica chiama da sempre le barriere psicologiche delle cifre tonde) non lasci macerie nelle tasche del cuore e di continuare a correre leggeri, com’è stato fin qui, godendosi il piacere del vento in faccia.