«Ci siamo.
Tra martedì 27 e mercoledì 28 marzo, il dibattito sui controversi cacciabombardieri F-35 sbarca in Parlamento. L’aula di Montecitorio è chiamata a discutere e votare le ben otto mozioni depositate al riguardo. Sempre mercoledì 28 marzo, poi, la Commissione Difesa della Camera è chiamata a proseguire la discussione sulla revisione dello strumento militare.
Chissà se sarà solo un momento di bassa amministrazione o di alta politica, chissà se tutto si risolverà nell’avallare le assurde pretese del Ministro Di Paola o davvero si procederà a ridurre seriamente le spese militari».
Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace, parla tenendo davanti a sé i resoconti dei lavori parlamentari: verbali delle audizioni, relazioni, tabelle allegate. «Prima d'essere una questione di principi e di valori, è un problema di buon senso», esordisce Lotti. «Questo Governo sta incidendo la carne viva della gente. A partire dalle pensioni e dagli stipendi (chi li ha) di marzo, gli sforzi per il risanamento passeranno dalle parole ai fatti. Per tacere dell'azzeramento dei fondi per le persone non autosufficienti e di altre operazioni che riducono o, in taluni casi, cancellano, il welfare. Siamo destinati a diventare tutti un po' più poveri e insicuri.
Almeno si fossero battute tutte le strade possibili! Non è stato così. I soldi vanno presi là dove ci sono. Tralasciando i miliardi che si dovrebbero recuperare grazie a una seria lotta contro la corruzione e contro l'evasione fiscale, si sa che in alcuni capitoli di spesa i soldi ci sono, eccome».
«Per il 2012, il bilancio della Difesa è pari a 19.962 milioni di euro», prosegue Flavio Lotti. «Per la funzione difesa, riferita alle tre armi - Esercito, Marina e Aeronautica - sono stanziati 14.111 milioni di euro, a questi vanno aggiunti 5.850 milioni di euro per la funzione sicurezza del territorio (i Carabinieri). Ma si arriva facilmente ad una spesa complessiva - verificata - di oltre 23 miliardi di euro se a tutto ciò si sommano le spese per le missioni all’estero e gli stanziamenti del ministero dello Sviluppo economico per l’acquisto dei vari sistemi d’arma, dagli aerei da combattimento alle fregate».
«Si viene così al punto», incalza Lotti. «Per la Difesa si spende troppo e male. E si spreca ancora di più. Succede da troppo tempo e non ce lo possiamo più permettere. Dobbiamo spendere meno. E meglio. Soprattutto bisogna spendere dopo essersi chiariti bene le idee come Paese. Da chi e da cosa siamo minacciati? Di quale sicurezza stiamo parlando? In una situazione di allarmante crisi economica come la nostra che senso ha acquistare cacciabombardieri quando le volanti della Polizia non escono perché non ci si può permettere la manutenzione necessaria o, peggio, perché non si hanno più soldi per la benzina?».
«Il mettere a fuoco i pericoli che il Paese corre, le strategie necessarie a contrastarli, lo strumento militare adeguato ai tempi e le spese necessarie a fare il tutto si chiama, con un termine riassuntivo, Modello di difesa», precisa Lotti. «Dovrebbe occuparsene il Parlamento, che invece sembra fin qui esautorato dalla funzione di indirizzo politico. Il ministro Giampaolo Di Paola ha detto che si devono progressivamente tagliare del 20 per cento gli organici che fanno capo alla Difesa, passando da 183 mila a 150 mila militari e da 30 mila a 20 mila civili. Poi ci ha spiegato che bastano 90 cacciabombardieri F-35 della Lockheed Martin contro i 131 aerei previsti all'inizio. Il risultato, però, non sarà una riduzione della spesa militare ma un aumento della spesa pubblica. Il Ministro intende trasferire parte dei costi del personale su altri capitoli del bilancio dello Stato e reimpiegare i risparmi effettuati nell'acquisto di altre costosissime armi. Per partecipare a missioni di pace (tipo quella in Libano, per capirci) non ci vogliono né portaerei né cacciabombardieri. Quelle armi servono solo per partecipare alla guerra vera e propria, tipo quelle che abbiamo combattuto in Irak e in Libia. L'impressione è che si continui a parlare delle prime attrezzandosi in realtà per le seconde. E lo si vuole fare senza un opportuno dibattito nel Paese e il necessario confronto in Parlamento».
Alberto Chiara
Aveva presentato in Parlamento un disegno di legge per rivedere l'attuale modello di difesa. La sua proposta poteva essere l'opportunità per un dibattito serio sulle spese militari, che quest'anno ammontano a 23 miliardi di euro. E magari per mettere in discussione l'acquisto dei 90 cacciabombardieri d'attacco F-35, dopo le ripetute denunce della società civile. Ma il Governo ha reagito con una bocciatura secca e la proposta non è stata neppure esaminata.
Il senatore Gian Piero Scanu, capogruppo del Pd in Commissione Difesa e primo firmatario del disegno di legge, non nasconde la sua amarezza: «In tempi di grave crisi economica, anziché contrarre le spese, il Governo decide di usare risorse ingenti per acquistare armi di dubbia utilità. Mi chiedo dove sia la coerenza».
- Senatore, in che cosa consisteva esattamente la sua proposta?
«Il disegno di legge, presentato sia alla Camera che al Senato, prevedeva l'istituzione di una commissione bicamerale che avrebbe dovuto elaborare, in sei mesi, un libro bianco (cioè un testo di indirizzo politico, ndr) sulla difesa e la sicurezza nazionale».
- E invece?
«E invece il Governo ha fatto sapere di essere contrario e la proposta è stata bloccata. Questo è un clamoroso svilimento del ruolo delle Camere. Ma siccome, almeno formalmente, le commissioni parlamentari non possono essere scavalcate, si è fatto ricorso al cosiddetto "affare assegnato", il mezzo legislativo meno importante che esista in assoluto. E nel portarlo avanti si vorrebbero evitare tutte le necessarie audizioni. A quanto pare, sull'argomento difesa, il Governo ha già elaborato un piano preciso e non accetta "perdite di tempo". Ho il timore che, di questo passo, si arriverà a giustificare anche l'acquisto dei caccia F35.
- La sua proposta faceva riferimento a un «nuovo modello di difesa». Che cosa intende con questo termine?
«Intendo dire che bisogna fare delle scelte. Possiamo inseguire un ruolo di leadership da superpotenza, oppure possiamo ricordarci di essere parte dell'Europa e quindi inserirci in un contesto di difesa europea».
- Secondo lei, in questo momento in Italia ci sono tentazioni da superpotenza?
«Purtroppo sì. E queste tentazioni a volte si manifestano in modo
schizofrenico. Da un lato si disinveste su addestramento e funzionamento
logistico, si trascurano le specializzazioni che il nostro Esercito
aveva e si chiudono i centri di manutenzione. Dall'altro lato si
acquistano armi pensate per i conflitti ad alta intensità. Procedendo
per questa strada si rischierebbe seriamente di violare l'articolo 11
della Costituzione, secondo cui l'Italia ripudia la guerra come
strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Non solo: la
Costituzione afferma che l'Italia non può agire in condizione
unilaterale, un principio troppe volte dimenticato».
- Nel 2012 per le spese militari sono stati messi in bilancio 23 miliardi di euro. Sono troppi?
«Il problema non è la cifra in sé, ma il tipo di investimento. Se le
risorse vengono usate in un'ottica di cooperazione, per addestrare
personale capace di risolvere le criticità, dentro e fuori i confini
nazionali, e per potenziare la protezione civile, allora la spesa è
giustificata. Ma se le stesse risorse servono per sistemi d'arma la cui
utilità non è mai stata dimostrata, evidentemente bisogna intervenire. O
si dimostra l'utilità di queste armi, cosa che finora non è avvenuta,
oppure si alleggeriscono le spese».
- Dunque, 23 miliardi spesi male?
«Esattamente. Credo che in questo momento manchi una sana sintonia con
il Paese. Non si tratta di indulgere al qualunquismo, ma di ascoltare un
sentire comune. E la voce del buon senso rifiuta l'idea di minacce
incombenti da affrontare immediatamente con armi d'attacco».
- Proprio in questi giorni, a seguito dell'ultimo attacco terroristico,
l'Italia ha pagato un nuovo, doloroso tributo di sangue: ha perso la
vita il cinquantesimo militare in Afghanistan. Torna ad accendersi il
dibattito sul nostro impegno internazionale. Le missioni di pace
all'estero sono davvero tali o sono in realtà "missioni di guerra"?
«Bisogna riconoscere che a volte il confine è sottile. Penso comunque
che il nostro Paese debba continuare a garantire questo tipo di impegno
internazionale. Ma sempre con uno sguardo vigile e con un sacrale
rispetto per la coerenza. L'obiettivo è difendere i popoli inermi e
favorire il processo di pace, in una dimensione europea e in un
contesto, ci tengo a sottolinearlo, multilaterale. Altrimenti si rischia
di piegarsi ai disegni delle superpotenze. Nel caso dell'Afghanistan,
ad esempio, ho più volte messo in luce il pericolo di una confusione tra
le missioni Isaf (operante sulla base di una risoluzione Onu, ndr.) ed Enduring Freedom, sorta invece in modo unilaterale.
- La sua proposta di legge è caduta nel vuoto, in un clima di
generale disinteresse. Pensa di essere stato lasciato solo, anche dal
suo partito?
«Vorrei evitare qualunque forma di vittimismo. Credo però che la
politica non abbia ancora chiara l'importanza di questi temi. C'è una
grande mancanza di sensibilità. E la logica di assecondare la lotta
all'emergenza economica rischia di trascinare con sé anche questioni
delicate. Questioni che andrebbero riviste, a cominciare proprio dal
contenimento delle spese militari».
- L'occasione di un rinnovamento del modello di difesa è definitivamente persa?
«Non è detto. Questo dipenderà dalla capacità del Parlamento e
dall'impegno del Governo. Sicuramente ci vorrà del tempo, ma non parlo
di tempi biblici. In tre mesi si potrebbe già arrivare a un buon livello
di approfondimento. Vari gruppi parlamentari si stanno attivando: un
confronto serio su temi così fondamentali non si potrà eludere in
eterno».
Lorenzo Montanaro
«Venticinquemila miliardi di lire per uccidere»,
scriveva Giorgio La Pira nel 1967, a Capodanno, in una delle sue riflessioni più
toccanti sulla guerra in Vietnam. E citava mezza Bibbia, dalla Genesi al
Vangelo di Matteo, passando per i documenti del Concilio e gli appelli di Paolo
VI, per poi concludere che si era aperta «la stagione di Isaia»: la stagione, intendeva,
in cui «forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo
non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più
nell’arte della guerra» (Is 2,4).
Mi veniva in mente questa riflessione, e molto
altro, quando con Savino Pezzotta abbiamo cominciato a ragionare
sull’opportunità di dire una parola chiara sul programma di acquisto degli F-35.
Una parola da cristiani impegnati in politica, che non staccano i piedi da
terra ma che cercano di rivolgere la testa al cielo: era davvero necessario
tutto ciò? Era inevitabile, immodificabile, persino indiscutibile come
all’epoca (due anni fa) sembrava? No, non lo era. E allora nacque la mozione
Colomba, un atto apparentemente innocuo di qualche parlamentare testardo, che
ha il merito di aver riaperto il dibattito e di aver portato il governo a una
riduzione del programma d’acquisto. Il 30 per cento, per ora.
Poi vedremo,
perché le profezie – come quella di Isaia, appunto – hanno tempi lunghi e
sentieri tortuosi.
Intendiamoci: nel campo delle armi e della
guerra, per un cristiano il poco è sempre troppo. Diventa troppo anche la
legittima difesa, pur giustificata dal Catechismo, se il modello è quel
“rimetti la spada nel fodero” detto da Cristo a Pietro nell’orto degli Ulivi.
Ma l’impegno in politica rende tutto più complesso, perché una nazione non si
governa con la sola coscienza: se dico di no a un intervento armato a
protezione dei civili richiesto dall’Onu, ad esempio, si fa molto sottile il
confine tra l’obiezione di coscienza e l’omissione di soccorso.
Ci sono però
delle situazioni, come questa dei cacciabombardieri, in cui la scelta è decisamente
più facile: soprattutto se le spese sono folli e i numeri degli armamenti sembrano
quelli del Risiko e non quelli di un Paese, come il nostro, che per
Costituzione “ripudia la guerra”.
Per tanto tempo in Italia si sono date per
scontate le spese militari. Si poteva risparmiare su tutto, si potevano
tagliare pensioni e sussidi alle persone non autosufficienti, ma guai a mettere
in discussione il bilancio della difesa: il solo porre il problema era
considerato roba da hippie, non da
statisti. Ora che la crisi economica ci obbliga a farlo, si capisce finalmente
che i margini sono notevoli: se pensiamo alla facilità con cui il ministro Di
Paola ha annunciato il taglio degli F-35 da 131 a 90, non possiamo far finta di
non capire che, evidentemente, almeno 41 cacciabombardieri non erano poi così
indispensabili. Sono quasi 5 miliardi di euro restituiti alle famiglie, alla
solidarietà, al terzo settore, alla cultura, alla scuola, al lavoro; alla
costruzione di un’Italia migliore, insomma, senza che per questo vengano
pregiudicate le nostre capacità militari o il nostro ruolo internazionale.
Bisogna avere coraggio, allora, e affrontare seriamente il tema di un nuovo
modello di difesa, non lasciando che a dettare l’agenda in materia siano gli
interessi industriali, ma rendendo il tema “nazionale” nel vero senso della
parola: chiamando in causa, cioè, tutte le componenti del settore, compresa
quella difesa popolare nonviolenta alla quale varie sentenze della Corte
costituzionale riconoscono dignità pari alla difesa militare. E noi cristiani
saremo lì, dalla parte di Isaia».
Andrea Sarubbi, deputato Pd
«Ma servono proprio a difenderci questi bombardieri?». Savino Pezzotta, 68 anni, ex segretario generale della Cisl e oggi deputato dell'Udc, lancia la domanda e prova a darsi una riposta partendo dall'attualità, cioè dalle stragi compiute a Tolosa dal giovane killer Mohamed Merah. «Ci dovrebbe fare riflettere ciò che è successo a Tolosa. Non mi pare che gli F-35 possano essere utili in questi casi. Probabilmente la minaccia del terrorismo e questo modo di fare la guerra impongono una revisione delle forme di difesa, che non può essere affidata solo ai mezzi tecnologici. Conta anche il valore della risorsa umana e non violenta”.
- Qual è il senso della mozione parlamentare che lei e altri parlamentari avete presentato già da diversi mesi?
«Proponiamo che prima di dirci quanti aerei compriamo o non compriamo più ci sia spiegato che cosa è il sistema di difesa italiano. Inoltre vorremmo sapere se in questo sistema rientra anche il servizio civile ed eventuali forme di difesa non violenta nel territorio italiano. Non siamo concentrati soltanto sulla questione degli F-35, ma chied/iamo un sistema di difesa italiano adeguato alle urgenze e alle necessità di questo tempo».
- Pensa che dal Governo arriveranno risposte?
«Da parte di questo Governo ci sono state alcune dichiarazioni che sembrano andare nel senso di una revisione del sistema di difesa. Ma non basta ridurre il personale e magari investire in armi i soldi risparmiati. Bisogna avere un disegno complessivo, altrimenti ci prendiamo in giro. Poi c'è un altro aspetto che crea turbamento».
- Quale?
«Con questo progetto di acquisto degli F-35 l'Italia si allontana
dall'Europa per inserirsi in un sistema dominato dagli Stati Uniti,
cioè in direzione contraria al sistema di difesa europeo sul quale
dovremmo puntare».
- Da ex sindacalista, in questo momento in cui si chiedono sacrifici
ai lavoratori italiani non creano turbamento anche i costi degli F-35?
«Certo. Mentre modifichiamo l'articolo 18 e si interviene sulle pensioni
e sul terzo settore non è possibile che il settore militare resti
intoccabile. E' necessaria una riforma e se ne deve discutere in
Parlamento, non soltanto fra il ministro e i generali».
- Su questi temi l'opinione pubblica sembra distratta, come mai?
«Non c'è mai stato un grande dibattito su questi temi. Ne parlano i
giornali cattolici, ma ma tace la grande stampa, sempre pronta ad
attaccare gli sprechi e la cosiddetta casta».
- La mozione da lei firmata aprirà una discussione ampia e seria?
«Me lo auguro. Credo che la mozione abbia quel tanto di ragionevolezza
che il governo, così come altri parlamentari ci dovrebbero riflettere
sopra. Invito a riflettere soprattutto chi continua a mettersi
l'etichetta di cattolico. Essere cattolici e dare ascolto agli appelli
del Papa significa impegnarsi su questi temi. Se non lo facciamo vuol
dire che ci interessano solo i voti».
Roberto Zichittella