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venerdì 13 settembre 2024
 
 

Calcio e gay, cassanate a parte

14/06/2012  La dichiarazione di Alessandro Cecchi Paone, sulla presenza tra gli Azzurri di due calciatori omosessuali, offerta a Cassano come un pallone da palleggiare. Negli anni Trenta, però...

Alessandro Cecchi Paone ha dato i numeri senza fare tutti i nomi: in Nazionale ci sarebbero due calciatori  omosessuali, uno dei quali un tempo amico suo, due calciatori bisessuali,  tre calciatori eterosessuali anzi metrosexual, cioè eterosessuali però dediti ad una cura del corpo e degli abiti tipicamente femminile. Questi ultimi tre sarebbero Abate, Giovinco e Montolivo. 

La dichiarazione composita del celebre personaggio televisivo, protagonista di un outing di adesione personale all’omosessualità poco dopo avere festeggiato le nozze con una bellissima spagnola, è stata offerta, come un pallone da palleggiare, ad  Antonio Cassano, mandato in conferenza-stampa dal citì Prandelli a parlare di un po’di tutto, di Balotelli suo sciagurato compagno d’attacco contro la Spagna (meglio Cassano investito del  ruolo di portavoce  azzurro di giornata di Cassano che si mette magari a parlare a ruota libera, deve avere pensato lo stesso Prandelli), come delle frasi di Cecchi Paone, in fondo non inattese visto che da tempo circola nel calcio la domanda ormai rituale alla quale manca una risposta univoca: ci sono gay nella calcio? E nella Nazionale?

Il giocatore, appunto replicando a Cecchi Paone dietro sollecitazione di un giornalista, ha detto di non saper niente di gay in squadra, ha precisato che comunque non sono affari suoi, ma ha usato, nel dirlo, anche almeno un termine pesante, da omofobo. E ha dovuto scusarsi, disomofobizzarsi. Grande la eco, molti i rumori di fondo. Nel migliore dei casi, un diversivo, visto che ci si sta appropinquando al match con la Croazia in piena angoscia, come da copione. Comunque l’argomento non sembra chiuso, anche se non si capisce bene perché sia stato aperto. Per inciso segnaliamo che nel Mondiale del 2010 in Sudafrica c’era nella squadra azzurra un calciatore con seri problemi di cocaina, ma non se ne parlò, chissà se per paura, per rispetto o per mancanza di un Cassano dedito alle sue cassanate.

Nel non lontanissimo anno 1982, in occasione del Mondiale in Spagna, bastarono due intriganti righe su un giornale italiano, con riferimento al semplice fatto che Paolo Rossi ed Antonio Cabrini avevano voluto dormire nella stessa camera, per scatenare le malissime lingue e obbligare il citì Bearzot ad instaurare il silenzio-stampa, promuovendo anzi obbligando il quasi muto Zoff a portavoce. La squadra, tranquilla, arrivò al successo finale. Chissà adesso.

La domanda con cassanata praticamente incorporata nella risposta era comunque nell’aria. Pochi mesi fa c’erano state voci di presenze gay fra i calciatori italiani, Marcello Lippi ex citì le aveva escluse, almeno fra gli azzurri cioè nel mondo più suo, mentre Damiano Tommasi, presidente dei calciatori, non aveva escluso il fenomeno però aveva invitato tutti a non andare a fondo col gossip e altro, ritenendo l’ambiente del calcio nostro non ancora maturo per affrontare il tema con forza e chiarezza. Il festival del film omosessuale di Torino aveva fatto da cassa di risonanza alla questione, con produzioni sull’outing anche nello sport

E c’era stato chi, raschiando nel barile della memoria più che sfogliando archivi poveri, aveva ripescato voci peraltro assai vaghe di omosessualità di giocatori nel giro della Roma del primo dopoguerra, nonché voci decisamente meno vaghe riferentisi a un gruppo di calciatori laziali, vicini allo scandalo del Totonero (dunque a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta) e vacanzieri particolari di gruppo in un resort dentro un’oasi algerina. Niente di più, e la questione dell’omosessualità nel calcio (mai sfiorati altri sport) era rimasta in sonno per anni e anni, al massimo con pettegolezzi sparsi e deboli su Tizio e Caio. C’era stata – ecco - una vignetta impagabile, l’ammucchiata dei calciatori a festeggiare un gol e uno che, sommerso dagli abbracci dei compagni, dice ad un altro impegnato a omaggiarlo come tutti: “Ma noi due dobbiamo continuare a frequentarci così?”.

Andando molto ma molto indietro, agli anni Trenta, si trova però qualcosa di, come dire?, fondato, anche se non fra calciatori in attività: un celebre allenatore fu cacciato dal suo celeberrimo club, dopo una serie di campionati vinti anzi dominati, per sospetti forti di omosessualità da spogliatoio (si mormorò anche di pedofilia); un celebre ex calciatore, divenuto celebre allenatore dopo essere stato fra i giocatori preferiti in casa Mussolini, nonostante il fascismo machista fascista da lui esibito, fu sempre sospettato di mancanza di coraggio per fare o accettare quell’outing che invece al suo predecessore era stato praticamente e rudemente imposto.

Da registrare infine anche la scoperta di una omosessualità, come dire?, trasversale italo-brasiliana: quella di un calciatore sudamericano, in arte calcistica Vampeta, assunto dall’Inter (roba di pochi anni fa), tenuto pochi mesi e quasi mai fatto giocare perché troppo frivolo ed etereo sul campo, lui che era in realtà un’icona “ufficiale” del mondo gay del suo Brasile, dove animava riviste, poster, scene di vita assolutamente extracalcistica.

Nel 1984 Daley Thompson, britannico di colore, originario della Nigeria, vinse la prova del decathlon ai Giochi Olimpici di Los Angeles e si presentò alla conferenza stampa con una maglietta su cui stava scritto, in maniera leggibile anche a distanza, “Il secondo atleta al mondo è gay?”. Quasi sicuramente era un riferimento alle voci di omosessualità che riguardavano (e pare che non si siano affievolite anche dopo un quarto e più di secolo) lo statunitense, pure lui di colore, Carl Lewis, strepitoso vincitore di quattro medaglie d’oro nell’atletica e però – questa fu l’interpretazione comune della frase sulla T-shirt del decathleta - “retrocesso” a secondo fra i fenomeni da chi, come appunto Thompson, ritiene il decathlon la summa e l’esaltazione di tutto.

Richiesto di chiarimenti sulla scritta,Thompson disse: “Una domanda e niente più, ognuno se la ponga e le risponda come vuole, dopo avere deciso chi riguarda”. Richiesto di chiarimenti sul termine “gay, disse: “La mia lingua è l’inglese, e in inglese gay vuol dire felice (happy). Il resto appartiene alle vostre supposizioni o alla vostra ignoranza della lingua di Shakespeare”.

Il mondo internazionale ha praticato l’ipotesi dell’omosessualità nello sport con una certa disinvoltura, e non da pochi anni. Protagonista assoluta una donna, la tennista Martina Navratilova, cecoslovacca poi naturalizzata statunitense, grandissima fra le grandi sino alla fine del secolo anzi del millennio scorso, e celebre per il suo outing costante, esibito, vestito anche da femminismo militante. Ultima sua imitatrice la francese Amélie Mauresmo, “impegnata” da Saint Tropez, il paese suo posto di molte licenze, ai campi da tennis di tutto il mondo (a e proposito di omosessualità fra donne, in Italia negli anni Cinquanta era molto sussurrata la stretta amicizia fra due nuotatrici azzurre, che fecero da rompighiaccio, da noi, per tutta l’altra metà del cielo, un cielo che dalle nostre parti non ha avuto però una sua Navratilova).

Un outing forzato, oggetto di critiche e derisioni, è stato quello del calciatore inglese Justin Fashanu, fratello del più forte John,
è sfociato in tragedia: accusato di avere stuprato un ragazzino, Justin Fashanu ha invano messo avanti la dichiarazione del giovane ("Nessuna violenza, ero consenziente”).  Non è stato creduto, per lui inglese di colore gli insulti anche della comunità afrobritannica, e nel 1988, a soli 37 anni, si è tolto la vita, impiccandosi in un garage (ricordate Teo Teocoli che urlava quel buffo e ovviamente non ancora tragico cognome - “fa-sha-nuuuu!” - nelle teletrasmissioni con quelli della Gialappa’s Band?).

Molto più disinvolto l’outing di quello che è tuttora ritenuto il più grande tuffatore di ogni tempo, Greg Louganis, statunitense di origine greca, successore nei voli olimpici del nostro Klaus Di Biasi. La sua tragica sieropositività ha ovviamente incupito il tutto, ma questo è un altro discorso.
Molto probabilmente la relativa disinvoltura nell’affrontare l’argomento ha permesso a tanto sport estero di farsi gli affari suoi senza troppi problemi anche in questa materia assai delicata. Sotto curiosità (troppo dire”sotto accusa”) sono così finiti in tanti,alcuni magari per una semplice immagine ritenuta non sufficientemente maschia. Gesti affettuosi, baci affettuosi riconoscenza, non certo di intimità (oh quello tenerissimo, e torniamo in Italia, di Zoff a “papà” Bearzot dopo il titolo mondiale conquistato lì a Madrid, sul prato del Bernabeu nel 1982).

Ci sono finiti in tanti,con nomi anche illustri: David Beckham, sorpreso in feste bisex, come Cristiano Ronaldo, come Gerard Piqué, fra l’altro fidanzato della bellissima celeberrima cantante colombiana Shakira. E ci sono foto di Maradona con creature diciamo ambigue di Napoli. C’è chi si è preso la briga di cercare, studiare e allineare le foto all’apparenza più compromettenti, e sono finiti nella rete anche alcuni italiani (parliamo soprattutto del calcio).

Per finire: Wilson Oliver, uruguayano giocatore della Celeste, la gloriosissima Nazionale di quel piccolo straordinario (per il football) Paese, nel non preistorico 1986 dichiarò la propria omosessualità, venne addirittura minacciato di una richiesta di danni da parte di un golfista suo omonimo, fu duramente  criticato dalle autorità sportive, venne in pratica emarginato e smise di giocare.

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