Dai e dai con la propaganda ed ecco che anche l'Italia può vantare il suo "piccolo Breivik". Certo, i due senegalesi uccisi a Firenze da Gianluca Casseri non sono i 77 giovani massacrati a Oslo, ma i tratti comuni ai due episodi sono troppi per essere archiviati, come qualcuno già prova a fare, come l'episodio di un folle isolato.
L'Italia, proprio come la Norvegia, ha attraversato anni in cui la polemica politica, dietro l'alibi del realismo e della crisi economica, dell'identità nazionale e dell'omogeneità culturale, si è abbandonata a un razzismo neppur tanto strisciante, condito di pregiudizi e falsità. Lo straniero (tranne quelli ricchi, ovviamente) e l'immigrato sono stati tramutati in categorie sospette per definizione, anche se qualunque studio serio era pronto a dimostrare che il nostro Paese dall'immigrazione trae profitto, in senso economico e demografico.
L'immigrazione come congiura, l'immigrato come agente patogeno. L'arrivo degli stranieri come un male da combattere, a prescindere. A dispetto, per esempio, della realtà dei fatti: di un mercato del lavoro che, come ha dimostrato il XVII° Rapporto Ismu sull'immigrazione, appena presentato, "chiama" gli immigrati quando l'economia cresce e li respinge automaticamente quando l'economia ristagna: 430 mila nuovi immigrati l'anno tra il 2003 e il 2009, solo 70 mila in un 2010 pure segnato dalle turbolenze e dalle guerre dell'Africa del Nord.
Dal raid contro il campo nomadi di Torino, provocato dalle incaute dichiarazioni di una ragazzina che ha poi chiesto scusa a tutti, alla sparatoria di Firenze, per citare solo gli ultimissimi episodi, raccogliamo i frutti di una politica che su questo tema ha dato il peggio di sé. Al posto di regolare i fenomeni e placare certe comprensibili paure, ha acceso il conflitto e sulle fiamme ha speculato per piccola convenienza elettorale. Ovunque. Anche, per fare un altro esempio, nella Roma che pareva messa a sacco dai romeni e si è poi ritrovata con il record di omicidi, commessi da italianissimi assassini. Anche a Napoli, con le incursioni contro i rom sobillate forse dalla camorra.
Piaccia o no, negli spari di Casseri c'è molta Italia. Quella del "io non sono razzista ma", che ai razzisti veri ha tenuto fin troppo bordone.
Per anni ci siamo sentiti ripetere la favola che gli immigrati tolgono
lavoro ai nostri giovani, evidentemente ansiosi di fare i pizzaioli, la
badante o il muratore. Ho recuperato di recente uno studio Eurostat, l’ufficio statistico della Commissione
Europea, frutto di una ricerca realizzata a fine 2008, che mostra una realtà ben diversa.
Nell’Unione Europea a 27 Paesi, gli immigrati (cioè le persone
nate in Paesi esterni alla Ue) formano ormai il 9,4% della popolazione. E
la loro situazione socio-economica è ben lungi dall’essere paragonabile
a quella degli europei di nascita. Per il 34% dei casi, gli
stranieri di età compresa tra i 25 e i 54 anni che vivono e lavorano in
Europa hanno titoli di studio e qualificazioni assai superiori a quelli
richiesti dal lavoro che in effetti svolgono. Lo stesso dato tra gli
europei si ferma al 19%. Andando a vedere Paese per Paese, lo stesso
dato risulta particolarmente clamoroso in Grecia (stranieri
super-qualificati nel 66% dei casi contro il 18% dei greci),
Italia (50% contro 13%), Spagna (58% contro 31%), Cipro (53%
contro 27%), Estonia (47% contro 22%) e Svezia (31% contro 11%).
Ma non basta. Solo in due Paesi dell’Europa a 27, cioè in
Grecia e in Ungheria, il tasso di disoccupazione degli stranieri (sempre
tra i 25 e i 54 anni) è più o meno simile a quello dei nativi.
Molto netta la differenza, invece, in Belgio (immigrati disoccupati al
14% contro il 5% dei belgi), Svezia (11% contro 3%), Finlandia (11%
contro 5%), Spagna (15% contro 9%), Francia (12% contro 6%) e Germania
(12% contro 6%).
Per finire: il 31% degli stranieri che vivono e lavorano in Europa è a
rischio di povertà o esclusione sociale, contro il 20% dei nativi.
Livelli di rischio molto più alti per gli stranieri soprattutto in
Belgio (36% contro 13%), Svezia (32% contro 10%), Grecia (43% contro
23%), Francia (34% contro 14%), Austria (32% contro 13%), Finlandia e
Danimarca (31% contro 13% in entrambi questi Paesi).