(Foto Ansa)
In un clima di altissima tesione e scene da guerriglia, i catalani hanno votato. Si sono recati nei seimila seggi aperti per rispondere al quesito proposto dal referendum: dire sì o no alla Catalogna indipendente, Stato sovrano nella forma di una Repubblica. Una consultazione popolare anticostituzionale, certo, ma alla quale Madrid ha reagito con una forza e una durezza spropositate e sconcertanti: in centinaia di seggi la Guardia civil, la polizia spagnola, ha esercitato azioni di violenza contro cittadini di tutte le età che, in modo pacifico, chiedevano semplicemente di potersi esprimere alle urne. Alla fine della giornata (i seggi hanno chiuso alle 20) il bilancio è di più di 760 feriti colpiti dalle cariche dei poliziotti, che non hanno esitato a usare manganelli e gas lacrimogeni, nel tentativo di impedire le operazioni di voto e sequestrare le schede elettorali. Una reazione inaudita e inaspettata, da parte del Governo spagnolo. Se - ribadiamo - è vero che il referendum secessionista è illegale, è altrettanto vero che gli oltre cinque milioni di cittadini catalani chiamati all urne chiedevano di poter esercitare la loro libertà di opinione, in modo democratico.
Il pugno di ferro del Governo di Madrid si è rivelato un boomerang: ha inasprito gli animi, alimentato l'insofferenza nei confronti dello Stato centrale, rafforzato le istanze indipendentiste e spinto alle urne anche moltissimi catalani unionisti, contrari alla secessione. «Io e mio marito siamo andati a votare, ma le code erano interminabili e siamo dovuti tornare a casa», racconta Andrea, 38enne colombiana naturalizzata spagnola, residente a Sant Joan Despi, a pochi minuti da Barcellona. «Nostro figlio, che ha 4 anni, non voleva che uscissimo per andare a votare perché, ci ha detto, era pericoloso, aveva paura che la polizia ci avrebbe fatto del male. Questa è stata la sua impressione di bambino». Ai seggi, racconta Andrea, hanno incontrato soltanto i Mossos d'esquadra, la polizia catalana. E, in giro, tanti manifestanti spagnolisti. Samantha, 43enne di origine venezuelana, è andata a votare con alcune amiche nel quartiere di Gracia, zona nord di Barcelona, nei pressi del Parque Guell. «Noi abbiamo avuto fortuna, tutto è avvenuto in modo tranquillo. Ma in altri collegi la polizia è stata implacabile». E racconta di come i cittadini abbiano presidiato molti seggi durante la due notti prima del referendum, per impedire che venissero chiusi.
La Generalitat (il Governo della Catalogna) parla di una mobilitazione per il referendum di tre milioni di cittadini e di 319 collegi elettorali chiusi. Il portavoce del Governo catalano, Jordi Turull, ha dichiarato che il Governo spagnolo dovrà rispondere davanti ai tribunali internazionali dell'uso della forza da parte della polizia. E mentre si contano i voti, il premier Mariano Rajoy si è espresso ufficialmente dalla Moncloa (la sede del Governo a Madrid) con una dichiarazione: «In Catalogna non c'è stato alcun referendum. Lo Stato di diritto ha funzionato e ha agito con tutte le sue risorse contro la provocazione». Ha poi affermato che convocherà tutte le forze politiche con rappresentanza parlamentare per riflettere sulla questione catalana. «Non intendo chiudere nessuna porta, non l'ho mai fatto», ha detto Rajoy. Un tentativo di richiamare alla concordia e al dialogo. Ma, dopo i fatti che hanno macchiato la giornata del referendum, Barcellona appare ancora più distante da Madrid.