Catania nei giorni scorsi. Sullo sfondo: il vulcano Etna imbiancato dalla neve. Foto: agenzia Ansa. Sopra e in copertina: momenti della processione di Sant'Agata. Foto: agenzia Ansa .
Dopo due anni di attesa dovuta alla pandemia torna a Catania la festa di Sant’Agata, la terza festa religiosa al mondo che accoglie oltre un milione di fedeli, la maggior parte rigorosamente vestiti con “u saccu”, il tradizionale abito bianco che indica la purezza della Santa martire che si oppose al volere del proconsole Quinziano fino al taglio del seno.
La ripresa della festa amata dai catanesi di tutto il mondo coincide con la prima volta a Sant’Agata dell’arcivescovo, monsignor Luigi Renna, che ha invitato i fedeli a vivere la festa con spirito di fede. Davanti ai ceri dei devoti che arrivano a pesare anche oltre 50 chili monsignor Renna ha spiegato: «Sono gesti esteriori, è sufficiente un piccolo cero, Sant’Agata guarda il nostro cuore».
La festa entra nel vivo dal 3 al 5 febbraio, ma le celebrazioni iniziano già un mese prima. La figura di Sant’Agata, la martire torturata che ha saputo resistere con la forza della sua fede deve condurci spiega l’Arcivescovo di Catania a una riflessione profonda sul ruolo della donna nella nostra società: «valorizzarla nella sua maternità, nella sua femminilità, nella sua inviolabilità in un tempo in cui vediamo che il femminicidio è diventato quasi un ritornello della cronaca quotidiana. Nella Chiesa in questi anni sono stati fatti passi da gigante, anche grazie a Papa Francesco e all’eredità che ha raccolto dal magistero di Papa Giovanni Paolo II che aveva scritto la Mulieris Dignitatem. Proprio Papa Francesco ha cambiato un canone del diritto canonico perché il ministero del lettorato e dell’accolitato fosse dato anche alle donne» continua Renna.
Proprio Giovanni Paolo II fu a Catania in visita pastorale per Sant’Agata. Era il 5 febbraio del 1994. Dallo stadio Cibali spiegò ai più giovani il segreto della santa martire cristiana: «Se domandiamo alla vostra giovanissima Patrona: spiegaci, come hai potuto, all’età di circa quattordici anni, essere già così forte nel testimoniare Gesù, così matura da avere l’onore di dare la vita per lui, lei ci risponde: Non è merito mio se sono stata buona. È stato Gesù a farmi buona, è Lui il segreto del mio nome e della mia vita. Io sono stata semplicemente come un tralcio attaccato alla vite. Ecco: questo è il segreto di Agata e di tanti come lei».
Parole che risuonano nella memoria storica della città tra lo sfilare delle candelore, grandissimi cerei votivi che rappresentano i mestieri e arrivano a pesare fino a 800 chili, portate a spalla da più uomini che durante la festa danzano nella tipica “annacata”.
Vederle agitarsi per la centrale via Etnea è uno spettacolo per i turisti, ma non solo, perché proprio all’interno della festa è allestita un’intera zona dove le persone con disabilità, da 17 anni a questa parte, possono godersi ogni momento delle celebrazioni. «Sant’Agata non per molti, ma per tutti. È questo il nostro messaggio di inclusione sociale che attraverso questa festa vogliamo amplificare. Con la fede e la testimonianza che Sant’Agata ci ha lasciato possiamo superare tutto”» spiega Salvatore Mirabella, presidente dell’associazione Come Ginestre.
Tra canti e inni tutta la città è in festa e continua a ripetere come in un ritornello: “Semu tutti devoti tutti? Evviva Sant’Aiata”.