Sulla pena di morte la Chiesa ha sbagliato e anche il Catechismo va cambiato. Papa Francesco fa quello che nessun dei suoi predecessori ha mai fatto e pronuncia un articolato “mea culpa” per il fatto che “purtroppo anche nello Stato pontificio si è fatto ricorso a questo estremo e disumano rimedio, trascurando il primato della misericordia sulla giustizia”. Si tratta del terzo mea culpa di Francesco dopo le scuse alla comunità valdese per le persecuzioni cattoliche durante il viaggio a Torino fatto nel 2015 e dopo la richiesta di perdono ai pentecostali, durante la visita a Caserta al suo amico il pastore Giovanni Traettino, per le persecuzioni fasciste nei loro confronti appoggiate anche dalla Chiesa.
Il Papa ha detto queste parole in un discorso in occasione dell’anniversario della promulgazione, venticinque anni fa, dalla promulgazione del catechismo della Chiesa cattolica da parte di Giovanni Paolo II. E ha aggiunto: “Assumiamo le responsabilità del passato, e riconosciamo che quei mezzi erano dettati da una mentalità più legalistica che cristiana. La preoccupazione di conservare integri i poteri e le ricchezze materiali aveva portato a sovrastimare il valore della legge, impedendo di andare in profondità nella comprensione del Vangelo. Tuttavia, rimanere oggi neutrali dinanzi alle nuove esigenze per la riaffermazione della dignità personale, ci renderebbe più colpevoli”.
Pertanto “è necessario ribadire pertanto che, per quanto grave possa essere stato il reato commesso, la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”. Bergoglio ha spiegato che quello della pena di morte è un esempio di “progresso della dottrina” anche in relazione alla “mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana”. La pena di morte ha aggiunto “è in se stessa contraria al Vangelo perché viene deciso volontariamente di sopprimere una vita umana, che è sempre sacra agli occhi del Creatore e di cui Dio solo in ultima analisi è vero giudice e garante”.
Il contesto nel quale Bergoglio ha posto la sua analisi è l’orizzonte del Vaticano II. Ha citato una frase del discorso di apertura del Concilio da parte di Giovanni XXIII: “E’ necessario che la Chiesa non si discosti dal sacro patrimonio delle verità ricevute dai padri; ma al tempo stesso deve guardare anche al presente, alle nuove condizioni e forme di vita che hanno aperto nuove strade all’apostolato cattolico”. Poi ha aggiunto per rendere il concetto più chiaro che “la Tradizione” è “una realtà viva” e che “solo una visione parziale del deposito della fede” la può considerare come “qualcosa di statico”: “La Parola di Dio non può essere conservata in naftalina come se si trattasse di una vecchia coperta da proteggere contro i parassiti!”. All’esclamazione il Papa ha fatto seguire un sonoro “No”. Invece la “Parola di Dio è una realtà dinamica, sempre viva, che progredisce e cresce perché è tesa verso un compimento che gli uomini non possono fermare”. Il ragionamento di Francesco risponde di fatto ai “dubia”sollevati dai cardinali sull’Amoris Laetitia, che lo aveva accusato di stravolgere la dottrina con un uso disinvolto della categoria della misericordia, e a chi lo ha accusato in un lunga lettera di essere eretico. Bergoglio ha spiegato al contrario che la “Parola di Dio progredisce e cresce” e che la “peculiare condizione della verità rivelata” é di progredire nel suo essere trasmessa dalla Chiesa. E ciò non significa affatto “un cambiamento di dottrina”. Sulla pena di morte il Papa ha auspicato che sulla base di “questo orizzonte di pensiero” nel Catechismo della Chiesa cattolica il tema “dovrebbe trovare uno spazio più adeguato e coerente”.