Stranieri, ospiti, concittadini. Il percorso che il vescovo di
Brescia, monsignor Luciano Monari, indica nella sua Lettera alle
comunità cristiane riprende le indicazioni della lettera agli Efesini: «Così dunque voi non siete più stranieri, Né ospiti ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio».
Pubblicata in occasione dei santi patroni della città, Faustino e
Giovita, che si ricordano il 15 febbraio, la Lettera analizza il
fenomeno migratorio chiedendo quale sia l’atteggiamento delle diocesi,
delle parrocchie, dei gruppi ecclesiali e dei cattolici impegnati in politica. Questi ultimi, dice il vescovo, devono «evitare e impedire qualsiasi forma di discriminazione».
«Con questo termine», specifica, «mi riferisco a comportamenti
vessatori che trasformano i diritti in scelte di compiacenza; che usano
le lentezze burocratiche per sfiancare le persone e costringerle alla
rassegnazione o alla rinuncia; che usano due pesi e due misure a seconda
della nazionalità o del colore della pelle. Non è lecito a un
cristiano approfittare della condizione di debolezza del contraente
immigrato per imporre contratti non equi (penso naturalmente ai contratti di affitto o di lavoro».
Ma prima di rivolgersi alla comunità politica e civile, il vescovo
si rivolge a quella cristiana che, scrive monsignor Luciano Monari, «è
chiamata ad accogliere i credenti battezzati da qualunque parte essi
provengano: sono a pieno titolo membri delle nostre stesse comunità».
Nei confronti di questi credenti «è necessario impegnarsi attivamente
per offrire un’accoglienza calda; ci vogliono persone che prendano l’iniziativa di andare incontro ai nuovi arrivati, di interessarsi di loro, di introdurli poco alla volta nei diversi luoghi e alle diverse iniziative della parrocchia».
«Non possiamo lasciare agli immigrati», aggiunge il vescovo, «tutta la
fatica di inserirsi nella comunità; deve essere anche la comunità che se
ne fa carico in modo esplicito». Se un immigrato si sente accolto,
si integrerà anche più facilmente, suggerisce la lettera indicando come
momenti di accoglienza le feste, i gruppi di ascolto della parola di
Dio, la devozione mariana. Analogo discorso può essere fatto anche per i
cristiani ortodossi, protestanti o evangelici. Anche se, per quanto
riguarda la partecipazione ai sacramenti, il vescovo raccomanda di fare
tutto con chiarezza e senza ambiguità seguendo le norme dei diversi
documenti della Santa sede e del recente Vademecum pubblicato dalla Cei
«per la pastorale delle parrocchie cattoliche verso gli orientali non
cattolici».
Monsignor Monari non dimentica neppure la complessità e i problemi
relativi a movimenti, sette e comunità religiose di provenienza africana
e latinoamericana che mirano «alla soddisfazione di un bisogno
psicologico soggettivo» e avverte del «pericolo che questi movimenti
rappresentano per la fede». Per questo chiede che non si offrano
ambienti parrocchiali per pratiche psicologiche che sconfinano nel
religioso.
Altri percorsi, invece, richiede il dialogo con credenti di altre
religioni, in particolare musulmani e buddisti. Di essi non possiamo
disinteressarci, dice il vescovo. Senza confondere le religioni in
una miscela indistinta va però sottolineato che «tutte le religioni
conoscono e proclamano alcuni aspetti veri di Dio e dell’uomo e
possono favorire la crescita della convivenza umana e del rispetto
reciproco. È doveroso verso tutti quell’amore che accetta cordialmente
l’esistenza dell’altro». E raccomanda di incoraggiare la presenza di
bambini e ragazzi anche di altre religioni nella vita degli oratori.
Così come
di favorire momenti di dialogo, di festa, di collegamento che sciolgono
alcuni sospetti e timori istintivi e che facciano superare isolamento e
paura. «Possiamo condurre gli uomini a credere nell’amore di Dio solo
amandoli concretamente con un amore sincero e generoso, con una prassi
di vita che sia fraterna e accogliente».
Non si tratta di mero buonismo, ma di cercare, anche a livello politico e
legislativo tutte quelle soluzioni che possano migliorare la qualità
dell’esistenza di ciascuno e della comunità civile nel suo complesso.
Per questo in particolare i cattolici impegnati in politica dovrebbero assicurare l’accoglienza dei rifugiati che fuggono da condizioni di ingiustizia e di oppressione,
ricordando che i beni della terra sono di tutti e devono servire per il
sostentamento di tutti. Dovrebbero fare in modo che chi lavora presso
di noi e contribuisce al nostro benessere «veda riconosciuta la propria
attività e di essere messo in regola». Inoltre, per chi è già
regolarizzato, dovrebbero battersi per far modificare la norma secondo la quale perde automaticamente il permesso di soggiorno l’immigrato che perde il lavoro.
«La logica di questa norma appare del tutto egoistica», scrive il
vescovo, «Finché mi servi ti tengo e faccio uso della ricchezza che
produci, ma appena la tua presenza smette di servirmi ti caccio». E
ancora dovrebbero farsi carico del problema dei bambini nati da genitori stranieri che appartengono, come cittadinanza, a uno Stato del quale non conoscono lingua, usi, cultura e costumi, mentre non possono appartenere a quello italiano dove abitano, vanno a scuola, vivono; «bambini che sono, dal punto di vista culturale, italiani», sottolinea Monari. Così come dovrebbero favorire il riavvicinamento familiare e l’inserimento scolastico dei bambini stranieri.
Il rispetto della dignità dell’altro dovrebbe guidare le scelte dei
cattolici, conclude il vescovo, convinti che «discriminare può sembrare
una scelta vantaggiosa, se si considera solo il profitto economico; in
realtà si tratta di un comportamento che usa l’altro come fosse una cosa
e finisce – per una specie di effetto-boomerang – per corrodere l’anima
di chi lo compie».