Un «culto idolatrico» che sta distruggendo milioni di famiglie nel mondo. Così papa Francesco ha definito il gioco d’azzardo durante un incontro sull’Economia di comunione promosso dal movimento dei Focolari lo scorso 4 febbraio. Le sue parole hanno suggellato l’impegno della Chiesa, dalla base al vertice, nel contrasto a un fenomeno che si è ingigantito a dismisura negli ultimi dieci anni. Non è certo, quella del Papa, una denuncia dell’ultima ora. Già nel 2010, ai tempi in cui era presidente della Conferenza episcopale argentina, in un documento ufficiale definì l’azzardo un «cancro sociale», al pari del narcotraffico e della droga.
In Italia il fatturato del gioco d’azzardo legale nel 2016 è stato di 95,9 miliardi di euro, una cifra abnorme, pari al 4,7% del Prodotto interno lordo, più di quanto lo Stato spende per l’istruzione (poco più del 4%). E il consumo è ancora in crescita, di ben il 7% in più rispetto al 2015, anno nel quale il settore ha “reso” 88 miliardi di euro.
Negli ultimi dieci anni la Chiesa è stata in prima linea nel contrastare il fenomeno-azzardo, che va ben oltre la ludopatia, sulle devastanti conseguenze della quale i centri d’ascolto delle Caritas hanno da tempo dato l’allarme.
Le associazioni che fanno capo alla consulta anti-usura “Giovanni Paolo II”, sparse su tutto il territorio nazionale, hanno organizzato gruppi di mutuo auto aiuto per coloro che chiedono di uscire dalla schiavitù del gioco e assistono chi è entrato nel circolo vizioso dell’indebitamento. Reti come Libera hanno alzato il livello di allerta sulle infiltrazioni mafiose all’interno del business – anche quello legale – dell’azzardo. A partire da parrocchie e associazioni è nata poi una rete territoriale che lavora sulla prevenzione e sulla sensibilizzazione, oltre che sulla cura delle persone, incalzando le istituzioni a regolamentare il far west dell’azzardo nelle città, dove i punti gioco sono spuntati ovunque (a Bergamo ce n’è uno ogni 300 metri quadrati, ha detto il sindaco Giorgio Gori). A Roma parrocchie e associazioni hanno convinto il Municipio VII a creare un osservatorio permanente sul gioco d’azzardo patologico.
A partire dal 2012 sono nate iniziative di sensibilizzazione e coordinamenti per tentare di fare massa critica e affrontare il problema. Come “Mettiamoci in gioco”, campagna promossa da una pluralità di soggetti fra cui Acli, Azione Cattolica e Gruppo Abele insieme ad associazioni di consumatori e a sindacati (Cisl e Uil). O “Slot mob”, movimento fondato da un gruppo di economisti sensibili al tema come Luigino Bruni, Leonardo Becchetti e suor Alessandra Smerilli. O ancora l’associazione “No Slot”, attraverso la quale una rete di comunità, territori, associazioni e singoli cittadini si sono dati forma giuridica per continuare con più vigore la battaglia contro il gioco d’azzardo patologico.
Gioco d'azzardo: perché è la Chiesa la più efficace a combatterlo
«La Chiesa oggi è il principale attore nel contrasto concreto al gioco d’azzardo», afferma il sociologo Marco Dotti, uno dei principali studiosi di questo fenomeno e del suo impatto sulla società italiana, tra i fondatori di “NoSlot”. «Grazie ai suoi canali sul territorio – che altre istituzioni, come i partiti, non hanno più – ha intercettato per tempo i bisogni e la portata devastante del fenomeno: nei centri d’ascolto e nelle parrocchie arrivavano persone con debiti, che avevano perso il lavoro o che chiedevano beni alimentari. Ma quando i volontari scavavano, scoprivano che in moltissimi casi c’era un problema legato al gioco. A Bergamo si parla molto del regolamento messo in campo dal sindaco Giorgio Gori per contrastare l’azzardo di massa, ma i centri d’ascolto e la rete delle fondazioni anti-usura sono già attivi da molti anni: hanno avuto una percezione rapida, quasi immediata, del fenomeno e hanno innanzitutto messo in campo una serie di elementi concreti di aiuto». Alle organizzazioni ecclesiali Dotti riconosce il merito di aver approcciato la questione ben oltre la dimensione psicologica: «Questo è lo sbaglio che fanno spesso le istituzioni pubbliche: pensare che sia un problema dell’individuo. La Chiesa invece, proprio perché concepisce la persona come insieme di relazioni, ha messo in campo interventi anche con le famiglie». È stato osservato che ogni giocatore (anche se non ha ancora una conclamata dipendenza dall’azzardo), fa ricadere questa sua azione su almeno sette persone del suo cerchio più stretto di relazioni, che chiede aiuto nel suo complesso ed è spesso inascoltato.
«Quando ci si rivolge a un servizio pubblico, per esempio a un SerT (Servizio per le tossicodipendenze), la prima richiesta è che i familiari restino fuori dalla porta durante il colloquio: un grave errore», afferma Dotti. «Un altro elemento chiave è la tempestività. Se hai questo problema e ti rivolgi alle Asl ti inseriscono in una lista d’attesa, mentre Caritas e associazioni anti-usura ti dicono: “Va bene, vieni stasera al gruppo di auto mutuo aiuto”».
Parrocchie e associazioni in Italia hanno cominciato a muoversi sul contrasto all’azzardo di massa a livello concreto, territoriale, una decina d’anni fa. Poi hanno capito che era importante anche cercare di articolare delle campagne e far sentire la propria voce. Nel sud Italia la provincia di Benevento è la prima in Campania per la spesa in slot machine (900 euro al mese per ogni abitante) e al settimo posto a livello nazionale per gioco d’azzardo e scommesse. Dal 2013 la Caritas di Benevento è impegnata nel contrasto al fenomeno in modo innovativo: «La spinta iniziale a occuparcene è arrivata dall’ascolto delle persone» afferma il direttore, don Nicola De Blasio, che è pure vicario episcopale per la Carità della diocesi. «Da parroco in periferia, ho visto arrivare donne disperate perché si erano giocate il denaro che avrebbero dovuto usare per pagare le bollette di casa, e nelle sale gioco c’era ormai chi non lasciava la slot-machine nemmeno per andare in bagno. Quando mi sono accorto che si stava toccando il fondo mi sono detto che come pastore non potevo ignorare qualcosa che stava rovinando le persone e devastando i legami sociali».
La Caritas di Benevento ha puntato su un meccanismo premiale, organizzando manifestazioni (slotmob) a sostegno delle attività commerciali che rifiutano l’installazione delle slot machine e la vendita dei gratta-e-vinci. «Alle edicole che hanno fatto questa scelta abbiamo chiesto di renderla pubblica, in modo da diffondere una nuova sensibilità», afferma Angelo Moretti, coordinatore della Caritas. «A ispirarci è il Vangelo, dove sta scritto che la luce non va nascosta, ma posta sopra il moggio per illuminare la casa. Solo che il moggio a volte va costruito! Questi edicolanti motivavano la loro scelta dicendo di non voler contribuire a far ammalare le persone; non avevano però teorizzato il grande dono che, con la loro rinuncia, fanno alla società».
Gioco d'azzardo: ruba ai poveri per dare alle multinazionali
L’azzardo, dice don De Blasio, «è la nuova droga dei poveri». E i numeri gli danno ragione: il 65% delle persone che fanno uso dell’azzardo regolarmente vive al di sotto della soglia di povertà. Sono i più deboli che si lasciano tentare dall’illusione di improbabili vincite: nei giorni del ritiro delle pensioni si registra un picco di giocate. Suor Alessandra Smerilli, economista e tra i fondatori di “No Slot”, definisce l’azzardo «un Robin Hood all’incontrario», perché «l’enorme giro di soldi che produce va a finire nelle casse delle multinazionali, che di certo non investono in Italia, anche se il nostro è il primo Paese in Europa per spesa nel gioco d’azzardo». Non solo: «A spendere di più sono le fasce povere della popolazione, che sono quindi più a rischio di ammalarsi e di finire nella spirale della dipendenza e dei debiti. È di fatto un sistema che aumenta le disuguaglianze».
Uno dei meriti della Chiesa, secondo il sociologo Dotti, è proprio quello di aver capito che il problema non è solo l’eccesso di pochi o la ludopatia. «Il Papa non ci dice che è un peccato, ma un cancro sociale: qualcosa che non produce solo patologia individuale ma devasta i legami. In questo modo la Chiesa si è fatta portatrice di un pensiero critico e ha affrontato il tema laicamente, riportando al centro il valore della persona e inquadrando il problema in un contesto più ampio, quello della finanziarizzazione dell’esistenza».
Un passaggio essenziale è stato capire che l’azzardo di massa diffuso tecnologicamente è un fenomeno epocale e nuovo, che non ha più nulla a che vedere con i vecchi modelli del gioco d’azzardo ottocentesco o di metà Novecento. Definire correttamente il problema è stata una vera sfida, perché minimizzare è da sempre la strategia delle lobby, che anche sul piano del linguaggio usano la parola gaming (gioco) e non gambling (azzardo).
«Sa cosa ho fatto tutta la mattina? Ho ascoltato persone vittima del gioco d’azzardo», ci dice monsignor Alberto D’Urso, presidente della Consulta nazionale antiusura “Giovanni Paolo II”. «Solo nello scorso anno 27 miliardi di euro sono stati inghiottiti dalle slot-machine e 23 miliardi dalle video-lottery. La Chiesa non può chiudere gli occhi». Monsignor D’Urso è stato fra i primi a occuparsi del problema, sin dal 1998: «Allora organizzazioni come Confesercenti minimizzavano. Oggi ci danno ragione».
Ma non è sempre facile passare dai principi all’azione. E questo vale anche in ambito cattolico. Organizzazioni importanti come le Acli (e, in ambito laico, l’Arci) stanno affrontando con coraggio le incoerenze al proprio interno: «Sebbene la nostra presa di posizione contro il gioco d’azzardo sia netta e definitiva, non è sempre facile convincere i nostri circoli locali a rinunciare a quella che è un’importante fonte di introiti», ammette il presidente delle Acli Roberto Rossini. «Spesso si tratta di locali di periferia che devono lottare per mantenere il bilancio in attivo, e “la macchinetta” – ci dicono – aiuta. Stiamo accompagnando questi circoli a fare la scelta giusta, sollecitando l’introduzione di altre forme di compensazione economica, come le lotterie, che non prevedono l’azzardo».
"Fondazione per l’amicizia dei popoli": l'esempio virtuoso di chi rinuncia a Sisal e Lottomatica
Chi ha compiuto un coraggioso (ancorché tardivo) passo indietro su questo fronte è stata, di recente, la Fondazione per l’amicizia dei popoli che, da fine anni Settanta, organizza l’annuale Meeting di Rimini. Già dall’edizione 2016 di quello che è l’evento culturale annuale più significativo della galassia ciellina, i promotori hanno deciso di rinunciare alla sponsorizzazione di Lottomatica e Sisal, aziende-leader del settore, che da anni sostenevano il Meeting, la prima appoggiando il “Villaggio dello sport” che a Rimini era messo in piedi in tandem col Csi, la “centrale” del mondo sportivo dilettantistico di marca cattolica. Una scelta non facile, salutata con soddisfazione dall’economista Luigino Bruni. Da anni impegnato nella denuncia dei guasti dell’azzardo, Bruni – tra i teorici dell’Economia di comunione varata in ambito focolarino – è deciso nel contrastare quelli che chiama «i falsi miti in circolazione» su gioco e azzardo. Uno dei quali teorizza che, combattendo l’azzardo, si perdano posti di lavoro: «Falso», è la replica, «l’indotto in questo settore è ridicolo». Quanto all’aspetto etico, «anche l’eliminazione della schiavitù comportò conseguenze di natura economica, ma nessuno ha nostalgia di quel periodo».
In positivo, Bruni suggerisce «una legge seria con cui affidare la gestione delle sale gioco ad aziende non profit che non fanno speculazione, un po’ come, nell’ambito del credito, i Monti dei pegni che in origine furono inventati dai francescani. L’errore fatto negli ultimi anni consiste nell’aver affidato ad aziende di profitto la gestione di problemi e patologie: è come se assegnassimo la gestione delle comunità di recupero dei tossicodipendenti a chi vende droga».
Bruni propone, inoltre, esercizi quotidiani di “cittadinanza attiva”: «Basterebbe guardarsi intorno, quando si entra in bar o si va all’edicola. Se il negoziante vende gratta- e-vinci o prodotti del genere, esprimere ad alta voce la propria contrarietà, in modo educato, rinunciando al caffè o evitando di acquistare il giornale: una forma di obiezione di coscienza che è un modo di dire che non si vuol essere complici di un sistema perverso». Il che significa anche, in positivo, premiare chi adotta criteri etici: lo hanno fatto, ad esempio, a Cagliari, insieme con il professor Vittorio Pelligra della locale Università, in stile “flash mob”. E in molte altre città quest’iniziativa – chiamiamola “colazione etica collettiva” – è stata ripetuta con successo.
Slot Mob: movimenti che premiano i baristi che si ribellano al gioco d'azzardo di massa
I piccoli esercenti che rifiutano l’ingresso delle slot-machine nei loro locali, i cittadini che vogliono premiare i baristi che si ribellano al guadagno facile per riscoprire la dimensione relazionale del gioco sono al centro del volume Vite in gioco. Oltre la slot economia (Città nuova), a firma di Carlo Cefaloni, tra i coordinatori del movimento Slot Mob. Un altro libro sul tema, È solo un gioco? Superare la dipendenza dal gioco d’azzardo, è in uscita a luglio da San Paolo, a firma di Armando Angelucci, psicoterapeuta e consulente familiare. Spiega Cefaloni: «L’azzardo di massa è il risultato di una campagna di incentivazione promossa dalle industrie del settore e dalla carenza di politica. Un fatto che permette di mettere in evidenza i poteri prevalenti nel nostro Paese durante la più grave crisi economica del dopoguerra».
Continua Cefaloni: «Slot Mob è un movimento di democrazia economica e giustizia sociale, frutto di un cammino che ha visto l’incontro dell’intuizione originaria dell’economia civile con culture consolidate di consumo solidale, finanza etica, cittadinanza attiva e responsabile. L’associazione Economia e Felicità, la rete Next (Nuova economia per tutti), l’impegno esplicito di un movimento eclettico come quello dei Focolari sono alcune componenti di un percorso plurale che permette l’incontro con una vasta e ricca umanità. Ad esempio nello Slot Mob nazionale del maggio 2016, in più di 60 città in Italia, abbiamo avuto in piazza Re di Roma, assieme al cardinale vicario Agostino Vallini, gli scout, la Croce rossa, decine di associazioni del gioco vero, molte polisportive, Libera, i sindacati e varie esperienze di mutualismo cresciute in spazi abbandonati della città. Il tutto per premiare due bar che si trovano vicino alla più grande sala bingo d’Europa. Una ribellione festosa che mette in evidenza la forza del legame sociale come risposta all’idolatria del denaro».
GIOCO D'AZZARDO: STOP ALLA DIPENDENZA... DELLE CASSE DI STATO
Cefaloni regala, poi, una stoccata alle istituzioni: «La vera dipendenza patologica è quella delle casse dello Stato verso le entrate gestite dall’industria dell’azzardo, strutturalmente interessata alla ricerca del profitto. Lottomatica che fa accordi con il Coni per portare lo sport nelle periferie è una beneficenza da rifiutare. I soldi si vanno a prendere colpendo i paradisi fiscali e le sacche di speculazione esistenti. I regolamenti comunali su orari e distanze sono un fragile argine davanti al casinò di quartiere. Il totem si abbatte con la ridiscussione dell’affidamento di un settore così delicato alle multinazionali per una gestione pubblica non incentivante e responsabile. In linea con la Costituzione e non con il potere delle lobby». Luigino Bruni condivide: «Credo che molto importante sia pure sensibilizzare i Comuni: i sindaci hanno molto potere in materia, possono mettere limiti sugli orari, imporre distanze minime da chiese, oratori e centri di aggregazioni». In alcune regioni d’Italia si sta seguendo proprio questa via “territoriale”. La Caritas di Benevento ha stilato un manifesto del “Welcome” al quale hanno aderito già 15 Comuni, e nel quale è presente un preciso impegno per contrastare, con provvedimenti semplici ma efficaci, l’azzardo di massa.
Sensibilizzare, mobilitarsi e informare. Su questo punto – sono concordi tutte le voci interpellate da Jesus – spicca la solitudine con cui le testate cattoliche stanno conducendo la battaglia anti-azzardo: un dato reso ancor più evidente dal fatto che la gran massa dei giornali ospita pubblicità profumatamente pagata di aziende del settore gioco. C’è senz’altro Avvenire tra i giornali più battaglieri sul tema, accanto al mensile Vita. Il quotidiano di proprietà della Cei il 4 maggio scorso, in riferimento all’incontro tra governo ed enti locali sulla riforma della legge, titolava a tutta pagina «Non v’azzardate», accompagnando il tutto con un severo commento del direttore, Marco Tarquinio. Che spiega così il motivo per cui il suo giornale ha dedicato (e dedicherà) molto spazio e attenzione a questa emergenza sociale: «È incredibile che non ci si renda conto che stiamo trasmettendo ai più giovani il messaggio che la vita cambia per un colpo di vento e di fortuna e non per passione, amore, dedizione, competenza, pazienza e intelligenza».
Non solo: l’azzardo – sottolinea Tarquinio – va a braccetto con la struttura «di quel capitalismo finanziarizzato che sta divorando il mondo. Ma», continua il direttore di Avvenire, «le ragioni a fondamento della nostra battaglia sono molteplici: l’azzardo, infatti, rappresenta una tassa sui poveri, è lo Stato che guadagna (aggravandole) sulle debolezze dei suoi cittadini. Ci rendiamo conto che la nostra è una battaglia controcorrente: sembra quasi impossibile combattere contro lo “Stato biscazziere”, ma continuiamo a farlo». Conclude Tarquinio: «Il gioco è una cosa bellissima e seria, e lo dico anche da ex scout. Ma il punto è che l’azzardo non è un gioco».
«La Chiesa fa già molto», sottolinea Bruni, «ma deve fare di più perché il fenomeno dell’azzardo è pervasivo. Un anziano su tre (lo dice un’indagine delle Acli) gioca regolarmente; tante, troppe persone in buona fede (anche fra coloro che frequentano le parrocchie) regalano ai nipoti i gratta- e-vinci, senza rendersi conto di rischiare che si crei dipendenza. Perciò credo sia ormai tempo che i parroci parlino di questa questione anche a Messa, nelle omelie». Conclude: «Come cattolici abbiamo una responsabilità enorme: dal momento che la politica non vuole cambiare (il parlamento è in balia delle lobby) e le imprese non vogliono certo rinunciare ai profitti, l’unica possibilità è riposta nei cittadini e in chi sta dalla loro parte».