Papa Francesco visita ufficialmente oggi, 21 giugno, a Ginevra, la sede del Consiglio ecumenico delle Chiese, a settant’anni dalla sua fondazione. L’avvenimento è l’occasione per un vero «pellegrinaggio ecumenico, come quello effettuato dal Papa a Lund, in Svezia, nel 2016», ha dichiarato il portavoce della Santa Sede Greg Burke durante la conferenza stampa di presentazione delle iniziative per le celebrazioni del 70° anniversario del Cec, che si è tenuta in Vaticano lo scorso 2 marzo.
All’incontro hanno partecipato il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, e il pastore Olav Fykse Tveit, segretario generale del Cec, che ha sottolineato l’importanza della presenza di Bergoglio a Ginevra, segno tangibile del percorso ecumenico realizzato dalle Chiese cristiane. Un impegno di evangelizzazione che sempre di più cerca nuovi punti di contatto, in linea con la vocazione del Cec, la principale organizzazione che si occupa del dialogo fra le Chiese cristiane nel mondo. «Stiamo pregando e operando insieme», ha detto Tveit. «Penso che la visita del Papa sia una riaffermazione di qualcosa che è cresciuto nel corso degli anni, a livello istituzionale, attraverso il joint working group (gruppo di lavoro congiunto tra Cec e Chiesa cattolica, ndr) e una rappresentanza all’interno delle nostre commissioni». In programma per Papa Francesco anche la visita presidente della Conferenza episcopale svizzera e la celebrazione della Messa per la comunità cattolica locale.
La visita del Papa alla sede del Cec è anche l’occasione per ricambiare quella che il pastore Tveit e la moderatora del Comitato centrale del Consiglio ecumenico delle Chiese Agnes Abuom fecero a Roma lo scorso agosto, quando furono ricevuti dal Pontefice in udienza ufficiale in Vaticano. Anche in quel caso il cuore del colloquio era stata la necessità di rinsaldare la comunione fra le Chiese per una testimonianza efficace al servizio dei più deboli, per la pace e la giustizia in un mondo sempre più diviso e fragile. Il pastore Tveit ha più volte ricordato infatti che «uno dei ruoli chiave del Cec è mostrare che cattolici, ortodossi, protestanti o fedeli di altre confessioni sono innanzitutto esseri umani creati da Dio e bisognosi di solidarietà».
Una volontà di comunione rafforzata da un anno di commemorazioni del cinquecentenario della Riforma protestante vissute in un clima di condivisione fraterna, in cui per la prima volta luterani e cattolici hanno visto la Riforma da una prospettiva ecumenica. Senza contare i tanti documenti condivisi, come la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, sottoscritta dalla Federazione luterana mondiale e dalla Chiesa cattolica nel 1999, dal Consiglio metodista mondiale nel 2006 e infine dalla Comunione mondiale delle Chiese riformate e dalla Comunione anglicana nel 2017.
Un tale sentire emerge chiaramente anche dalla lettera che papa Francesco ha scritto a inizio marzo al cardinale Reinhard Marx, presidente della Conferenza dei vescovi cattolici tedeschi, e a Heinrich Bedford-Strohm, presidente del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania, per ribadire «la grande gioia della scoperta che dopo cinquecento anni di storia comune, in parte assai dolorosa, siamo entrati in un nuovo periodo di comunione. Questo anno di celebrazioni ci ha mostrato che il futuro non può essere scritto senza dialogo ecumenico».
In passato solo Paolo VI e Giovanni Paolo II si erano recati alla sede del Consiglio ecumenico delle Chiese, rispettivamente nel 1969 e nel 1984. Proprio a Ginevra papa Wojtyla 24 anni fa aveva affrontato senza remore un argomento delicato, ribadendo che le Chiese diverse dalla cattolica sono semplici «comunità ecclesiali»: definizione che nel mondo riformato era stata avvertita come una dolorosa diminutio e che si era rivelata pietra d’inciampo sul cammino comune. Il cardinale Koch ha toccato l’argomento durante la conferenza stampa in Vaticano, quando ha spiegato perché la Chiesa cattolica non è membro del Cec ma è solo «osservatrice»: «il Papa ha una responsabilità particolare per l’unità dei cristiani», ha detto il cardinale, aggiungendo poi che si tratta di «una questione di numeri» e lasciando intendere che la Chiesa di Roma non può essere assimilata, quanto a rappresentatività, a comunità più piccole. E tuttavia oggi l’impegno e la sensibilità ecumenica di Bergoglio, di cui tutto il pontificato sta dando prova, fanno ben sperare le Chiese sorelle: forse la visita papale alla sede del Consiglio ecumenico è segno di un ulteriore progresso verso una effettiva fratellanza nel nome della fede nell’unico Signore.
(foto Ansa, articolo pubblicato originariamente su Jesus di aprile 2018)