Rio de Janeiro È un discorso diretto ai 45 vescovi del Comitato di coordinamento del Celam (Consiglio episcopale Latino americano), ma è un discorso fatto alla Chiesa universale. Il Papa riparte da Aparecida dopo aver fatto memoria di Medellin, Puebla e Santo Domingo. E ritorna sul modo originale che ha avuto l’America latina di interpretare e attuare il Concilio Vaticano II.
Lo fa mettendo il dito nella piaga di quello che ancora ritarda nell’attuazione, dal pieno coinvolgimento dei laici al funzionamento dei consigli pastorali diocesani, a una certa deriva clericale che ha portato tanti a privilegiare dogmi e direttive piuttosto che la vicinanza alla gente e la comprensione delle fatiche.
Lo stile è sempre quello del buon pastore, che avverte del pericolo, ma incoraggia nel cammino. Riprendendo il metodo del Concilio, ribadito nella Quinta Conferenza di Aparecida, Papa Francesco ha parlato di “vedere”, “giudicare”, “agire”. Il vedere, però, «non è mai asettico, ma è influenzato dallo sguardo. La domanda era, allora: Con quale sguardo andiamo a vedere la realtà? Aparecida rispose: con sguardo di discepolo».
Uno sguardo di chi è mandato in missione senza ideologizzare il messaggio. Il Papa parlando della Missione continentale, che fu il grande impegno che la Chiesa latinoamericana e caribica assunse nel 2007, ritorna sull’importanza di cambiare le strutture «un cambiamento delle strutture (da caduche a nuove) che non è frutto di uno studio sull’organizzazione dell’impianto funzionale ecclesiastico. Ciò che fa cadere le strutture caduche, ciò che porta a cambiare i cuori dei cristiani, è precisamente la missionarietà. La Missione Continentale, sia programmatica sia paradigmatica, esige generare la coscienza di una Chiesa che si organizza per servire tutti i battezzati e gli uomini di buona volontà. Il discepolo di Cristo non è una persona isolata in una spiritualità intimista, ma una persona in comunità per darsi agli altri».
Un discorso lungo e profondo quello di papa Francesco che insiste sul rinnovamento interno della Chiesa e sul dialogo con il mondo attuale così come chiedeva la Gaudium et spes. Il Papa interroga i suoi confratelli, sottolineando ancora una volta il suo ruolo di vescovo, e chiede di porsi le domande: «Facciamo in modo che il nostro lavoro e quello dei nostri Presbiteri sia più pastorale che amministrativo? Chi è il principale beneficiario del lavoro ecclesiale, la Chiesa come organizzazione o il Popolo di Dio nella sua totalità?». E ancora: «Rendiamo partecipi della Missione i fedeli laici? È un criterio abituale il discernimento pastorale, servendoci dei Consigli Diocesani? Tali Consigli, e quelli parrocchiali di Pastorale e degli Affari Economici sono spazi reali per la partecipazione laicale nella consultazione, organizzazione e pianificazione pastorale?».
Quello di papa Francesco è un lungo elenco di elementi sui quali lavorare perché la Chiesa dia risposta «alle domande esistenziali dell’uomo di oggi, specialmente delle nuove generazioni, prestando attenzione al loro linguaggio», perché non ceda alle tentazioni. Una, il Papa la indica per l’America latina, ma suona attuale anche in altre latitudini: «il clericalismo. Curiosamente, nella maggioranza dei casi, si tratta di una complicità peccatrice: il parroco clericalizza e il laico gli chiede per favore che lo clericalizzi, perché in fondo gli risulta più comodo. Il fenomeno del clericalismo spiega, in gran parte, la mancanza di maturità e di libertà cristiana in buona parte del laicato latinoamericano. O non cresce (la maggioranza), o si rannicchia sotto coperture di ideologizzazioni come quelle già viste, o in appartenenze parziali e limitate. Esiste nelle nostre terre una forma di libertà laicale attraverso esperienze di popolo: il cattolico come popolo. Qui si vede una maggiore autonomia, in generale sana, che si esprime fondamentalmente nella pietà popolare. Il capitolo di Aparecida sulla pietà popolare descrive con profondità questa dimensione. La proposta dei gruppi biblici, delle comunità ecclesiali di base e dei Consigli pastorali vanno nella linea del superamento del clericalismo e di una crescita della responsabilità laicale».
Il Papa chiede di impegnarsi nell’oggi avendo il passato come memoria e il futuro come promessa, ma sapendo che l’invito al discepolo è all’impegno nella realtà quotidiana. Partendo dalle periferie. «Il discepolo vive in tensione verso le periferie... incluse quelle dell’eternità nell’incontro con Gesù Cristo. Nell’annuncio evangelico, parlare di “periferie esistenziali” decentra e abitualmente abbiamo paura di uscire dal centro. Il discepolo missionario è un “decentrato”: il centro è Gesù Cristo, che convoca e invia. Il discepolo è inviato alle periferie esistenziali». Il Papa mette in guardia da una Chiesa che diventa centro, autoreferenziale e che da istituzione si trasforma in opera, «una Chiesa che smette di essere Sposa per finire con l’essere Amministratrice; da Serva si trasforma in “Controllore”. Aparecida vuole una Chiesa Sposa, Madre, Serva, facilitatrice della fede e non controllore della fede». Il Dio che il discepolo missionario deve indicare è un Dio vicino, che «esce incontro al suo Popolo». L’opposto di quelle che il Papa chiama «pastorali disciplinari che privilegiano i principi, le condotte, i procedimenti organizzativi... ovviamente senza vicinanza, senza tenerezza, senza carezza. Si ignora la “rivoluzione della tenerezza” che provocò l’incarnazione del Verbo. Vi sono pastorali impostate con una tale dose di distanza che sono incapaci di raggiungere l’incontro: incontro con Gesù Cristo, incontro con i fratelli».
Una grande responsabilità ce l’hanno i vescovi, che devono «condurre, che non è la stessa cosa che spadroneggiare. I Vescovi devono essere Pastori, vicini alla gente, padri e fratelli, con molta mansuetudine; pazienti e misericordiosi. Uomini che amano la povertà, tanto la povertà interiore come libertà davanti al Signore, quanto la povertà esteriore come semplicità e austerità di vita. Uomini capaci di vegliare sul gregge che è stato loro affidato e di avere cura di tutto ciò che lo tiene unito: vigilare sul loro popolo con attenzione sugli eventuali pericoli che lo minacciano ma soprattutto per accrescere la speranza: che abbiano sole e luce nei cuori. Uomini capaci di sostenere con amore e pazienza i passi di Dio nel suo popolo».