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giovedì 12 settembre 2024
 
dossier
 

Cent'anni dopo il Trattato di Versailles, una pace che gettò il seme del nazionalismo

28/06/2019  Il 28 giugno 1919 nella Galleria degli Specchi del Palazzo di Versailles i rappresentanti di 44 Stati sottoscrivevano il trattato che poneva fine alla Prima Guerra mondiale. Una pace "della discordia", foriera del Secondo conflitto mondiale.

Era il 28 giugno 1919, giusto cent’anni fa, quando, nell’ambito della  Conferenza di pace di Parigi, nella Galleria degli Specchi del Palazzo di Versailles i rappresentanti di 44 Stati sottoscrivevano il trattato che poneva ufficialmente fine alla Prima Guerra mondiale.  Il "Trattato di Versailles", come venne subito battezzato, diviso in 16 parti per 140 articoli, dettava le condizioni dei vincitori e ridisegnava i confini delle nazioni europee. Germania, Austria e Ungheria, gli sconfitti del conflitto,  non parteciparono alla “conferenza”, ma furono costrette a firmare il trattato.

   La Germania dovette cedere complessivamente 75 mila chilometri quadrati di territorio (7 milioni di abitanti): alla Francia l’Alsazia-Lorena e, temporaneamente, la Saar; al Belgio i distretti di Eupen e di Malmédy; alla Danimarca, lo Schleswig settentrionale; alla Polonia, l’Alta Slesia, la Posnania e il «corridoio polacco»; Danzica divenne città-Stato libera sotto la protezione della Società delle Nazioni; alla Lituania fu assegnato il territorio di Memel; tutti i fiumi tedeschi furono internazionalizzati.  Fu imposto, inoltre alla Germania: lo smantellamento del suo impero coloniale che passò a Francia, Gran Bretagna e Giappone; il pagamento delle riparazioni, di cui non fu fissato subito l’ammontare; la riduzione drastica del suo esercito a 100.000 uomini, con una flotta di 108 mila tonnellate, senza armi pesanti né aviazione.

   L’Italia alla fine ottenne il Trentino, l’Alto Adige e la Venezia-Giulia, con Trieste e l’Istria. La rivendicazione della città di Fiume e della costa della Dalmazia furono affrontate nel 1920 con il Trattato di Rapallo: Fiume diventò uno Stato libero, Zara e alcune isole della costa dalmata furono assegnate all’Italia e vennero determinati i confini di Italia e Iugoslavia nelle Alpi Giulie. Dall’insoddisfazione per le nuove acquisizioni territoriali che non rispettavano quanto previsto nel Patto di Londra si creò il mito della “vittoria mutilata” che sfociò nell’impresa di Fiume, animata da Gabriele D’Annunzio.

Ma fu davvero una “vittoria mutilata”? Rispondono due storici (interpellati a commento dei due dossier sulla Grande Guerra, già usciti fu Famiglia Cristiana n.25 e 26): Alessandro Barbero e Daniele Ceschin.

 «L’idea che l’Italia abbia ottenuto meno di quanto chiesto alla Conferenza di pace di Parigi è falsa. Si tratta di una narrazione che serviva alla politica per distogliere gli italiani dal fatto che il Paese versava in condizioni terribili. S’è preferito gonfiare il petto dichiarando: abbiamo vinto la guerra, ma non ci vogliono dare quanto ci meritiamo», afferma Alessandro Barbero, 60 anni, docente di Storia medievale nonché studioso della Grande Guerra, scrittore e noto volto televisivo. «La pace ha dato all’Italia tutto quello che aveva chiesto al momento dell’ingresso in guerra. E, comunque, molto di più di quello che avremmo dovuto avere se si fosse fatta una pace giusta, come voleva il presidente americano Woodrow Wilson, cioè rispettosa dei diritti dei popoli. Abbiamo ottenuto non solo i territori italiani, ma anche quelli abitati da tedeschi e slavi. Perciò non avremmo avuto alcun motivo di lagnarci al tavolo delle trattative; ma l’appetito crebbe a dismisura, alimentato dai nazionalisti innamorati dell’idea che l’Italia potesse diventare una grande potenza nei Balcani e nell’Adriatico. L’idea della “pace tradita” è stata creata artificialmente. Da qui la pretesa di Fiume, che nessuno aveva mai chiesto prima».

Daniele Ceschin, 48 anni, storico e autore di varie pubblicazioni sulla Grande Guerra osserva: «Il Trattato di pace di Versailles (28 giugno 1919) che chiude il conflitto mondiale gode di pessima fama, perché l’ordine internazionale disegnato dal patto durò poco e quello che è accaduto nei vent’anni successivi, cioè la nascita dei totalitarismi e i dei fascismi, avrebbe causato la Seconda guerra mondiale. Le condizioni economiche troppo onerose imposte nei confronti dei vinti furono, in effetti, foriere di ulteriori tragedie. Cosa già profetizzata da Einaudi e Keynes».

E l’Italia?  “Vincitrice, ma uscita con le ossa rotte dal conflitto, si trovò nel 1919 in situazioni disastrose. Dovette anzitutto fare i conti con la riconversione da un’economia di guerra a una di pace. Che significava smobilitare un esercito di sei milioni di soldati e tutta l’industria legata al militare. Lo smantellamento di queste strutture ebbe dei costi sociali enormi e comportò licenziamenti in massa. A pagare furono state soprattutto le donne: si pensi che 200 mila erano impegnate nell’industria bellica e altre 600 mila nel produrre divise militari».

 

 
 
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