Mai anniversario s’è presentato più gravido di futuro. Il 18 gennaio 1919 nasceva il Partito popolare italiano. «Da una stanza dell’albergo Santa Chiara, a Roma, veniva diffuso l’appello di don Luigi Sturzo “a tutti gli uomini liberi e forti”. A oltre cent’anni di distanza quel testo, tutto sommato breve, 890 parole in tutto, rimane attuale», assicura padre Francesco Occhetta, 48 anni, novarese, gesuita dal 1996, osservatore della vita pubblica italiana a cui ha dedicato saggi e libri (l’ultimo, Ricostruiamo la politica. Orientarsi nel tempo dei populismi, San Paolo, arriva in libreria in questi giorni). «Cambia il contesto, ma non la sostanza», puntualizza padre Occhetta. «Oggi come allora i cristiani devono sentirsi chiamati a essere fondamento e presidio della nazione. La piattaforma programmatica del 1919 è riproponibile tale e quale in molti punti: insegnamento, lavoro inteso come diritto, centralità delle autonomie locali, forme di previdenza sociale, libertà della Chiesa, costruzione di un ordine mondiale nuovo».
Padre Francesco Occhetta.
Com’era l’Italia alla quale si rivolse don Luigi Sturzo?
«Era appena uscita dalla Grande Guerra. Piangeva 651 mila soldati caduti e 589 mila civili uccisi. La vita media della popolazione, composta da circa 37 milioni di abitanti, non superava i 31 anni per gli uomini e i 32 per le donne. In Basilicata e Calabria l’analfabetismo toccava punte del 70%».
Come si arrivò al celebre appello?
«La lunga gestazione del Partito popolare italiano (Ppi) inizia a mio avviso con un discorso che don Sturzo tenne a Caltagirone nel 1905, alla vigilia di Natale, in cui propose per la prima volta la costituzione di un partito di ispirazione cristiana per portare i cattolici all’interno della politica italiana. Tuttavia da quella intuizione dovettero passare 14 anni e una guerra mondiale. Non dimentichiamo, inoltre, che dal 1874, con il non expedit, “non conviene”, la Chiesa vietava ai credenti di impegnarsi nella vita pubblica nazionale (consentiva però di votare alle amministrative e di rimboccarsi le maniche a livello locale). Benedetto XV cancellò il divieto nel 1919».
Con quali caratteristiche nacque il Partito popolare italiano?
«Don Sturzo lo volle riformatore, interclassista e aconfessionale, che desse voce a operai e contadini, mettendoli al riparo dalle lusinghe socialiste, che si attivasse a favore dei poveri secondo l’insegnamento del Magistero sociale. Non fondò un “partito cattolico” o conservatore».
Nella Dc chi, secondo lei, meglio interpretò il pensiero di don Sturzo?
«Senza nulla togliere ad altre figure penso soprattutto a Aldo Moro».
Partito unico dei cattolici sì o no?
«Oggi, no. Non subito, almeno. Destra e sinistra sono state svuotate di senso. Il mondo, l’Europa, l’Italia, le città, si dividono tra Nord e Sud. Per far sì che gli “ultimi” delle nostre società (senza lavoro, anziani soli, immigrati) vedano riconosciuto e tutelato il sacrosanto diritto di puntare al “loro Nord”, dobbiamo, come comunità ecclesiali, formare cristianamente le coscienze nelle scuole di politica, negli oratori, nei circoli parrocchiali spingendo giovani e adulti a impegnarsi partendo dai consigli circoscrizionali e comunali, in modo da selezionare una nuova classe dirigente onesta, preparata, credibile. Gli obiettivi si raggiungono in cordata: credenti e no, insieme. Don Sturzo ci insegna un metodo e un traguardo: ricucire l’Italia, ora segnata da divisioni e ingiustizie, attraverso il lavoro comune e il riconoscimento di valori condivisi».