A Busto Arsizio, cittadina non lontana da Milano, esiste un luogo di aggregazione giovanile originale, per certi versi unico. Si chiama Stoà, come il portico dove i filosofi della Grecia antica si impegnavano in avvincenti discussioni. Nel nome si coglie una doppia volontà: da un lato quella di aprirsi alla relazione, anche quando diventa confronto; dall’altro la necessità di creare uno spazio “sicuro”, coperto, nel quale avere modo di sostare, per dedicarsi alla ricerca del vero. A Stoà si organizzano mostre e letture, si fanno catechesi e adorazioni, si insegna l’italiano a un centinaio di richiedenti asilo, si cena spesso insieme, si accolgono artisti, scrittori, fotografi, giornalisti che abbiano una esperienza interessante da mettere in comune.
UNA REALTÀ INNOVATIVA
I protagonisti di questa realtà dinamica e innovativa hanno tutti età compresa tra i venti e i trent’anni. Roberta Rotondo, la direttrice ventiseienne, racconta con entusiasmo la storia di un luogo nato per colmare la mancanza di spazi dedicati ai giovani della fascia universitaria: «Qualche anno fa, ripensando la Pastorale giovanile della diocesi di Milano, ci si è resi conto che i ragazzi che avevano terminato la loro esperienza come animatori negli oratori, non trovavano proposte adatte per proseguire, nel contatto con gli altri, il loro cammino spirituale. Così è nato Stoà, che si può definire un vero e proprio progetto-pilota».
Varcando un grande portone di legno, si accede immediatamente al cortile. Assomiglia a una piazza: sampietrini a terra e sagome di alberi variopinti a dare una personalità originale a uno spazio di condivisione tipico delle antiche case lombarde. Rotondo spiega che qui fuori si tengono eventi musicali, teatrali e culinari, come l’immancabile giornata di autofinanziamento con produzione di hamburger “artigianali”.
Il cortile è il “luogo di frontiera” al quale tutti possono accedere senza timore di essere giudicati. Il vasto salone adiacente è arredato con gusto contemporaneo: mattoni a vista, finiture di metallo industriale, faretti da sala mostre che creano un’atmosfera invitante.
LO “ZAMPINO” DEL DON
«Questa attenzione all’estetica è merito di don Alberto Lolli, che quando è nato Stoà era il coadiutore qui a Busto Arsizio. Lui ha dato la prima impronta a questi spazi, ripetendo sempre che “il bello educa”». Colpisce la mancanza di simboli religiosi, ma Roberta precisa che quella che può sembrare un’imperdonabile dimenticanza in verità è una scelta precisa, che definisce un modo di entrare in relazione con i coetanei scelto dai fondatori: «Al piano terra non ci sono richiami alla religione perché nessun ragazzo abbia timore di aderire alle nostre proposte, magari inibito da un’appartenenza che non sente».
Per accedere agli ambienti ai piani superiori si varca un androne dove svetta una guglia del Duomo di Milano, donata al centro giovanile in occasione della sua inaugurazione presieduta dal cardinale Scola. Due rampe di ripide scale portano all’appartamento al primo piano. È una abitazione molto ampia, appartenuta alla prima architetto donna di Busto Arsizio, ora a completa disposizione dei giovani. Ci sono stanze da letto che possono ospitare una quindicina di persone, utili durante le frequenti settimane comunitarie. «Si tratta di un periodo nel quale un gruppo di ragazzi prova a vivere fianco a fianco, giorno e notte, senza abbandonare gli impegni scolastici e di lavoro, regalandosi un tempo forte nel quale conciliare spiritualità e quotidiano», precisa la giovane.
Quello che era il salotto, ora è uno spazio-mostre, allestito con pannelli mobili e dotato di una stanza completamente oscura per le video-proiezioni. La cucina, dove sono stati mantenuti gli affascinanti arredi originali anni Cinquanta, si snoda attorno a un ampio tavolo di legno. Qui, cucinando chili di spaghetti in un capiente pentolone, pare nascano le idee migliori.
RADICI E FUTURO
Proprio in questi giorni si stanno svolgendo le riunioni di programmazione per l’anno a venire: il presidente Antonio Sametti (un vero decano, con i suoi trentatré anni) ha chiesto ai circa trenta giovani che formano il nucleo organizzativo di Stoà di lanciare proposte nuove per il futuro, partendo però dalla riscoperta delle ragioni ideali che hanno dato vita, sei anni fa, alla loro associazione. Questo ciclico ritorno alla radice, necessario ogni volta che l’albero-Stoà deve gemmare una nuova foglia, è forse il segreto più prezioso dell’iniziativa.
Mentre parliamo di questo, apre l’ultima porta, quella del solaio: protetta come un mistero prezioso dalla struttura di travi del tetto, sorge una cappellina che unisce linee essenziali e arredi in materiali consumati. Il vetrocemento delle pareti ricurve rimanda una luce discreta, e invita alla contemplazione. Tre piani più in alto del suolo, nel totale silenzio, appare finalmente chiaro dove i ragazzi si rifugino quando sentono il bisogno di riscoprire la sorgente della loro missione. Qui mettono in carica il loro entusiasmo vitale, e sono pronti a rituffarsi sorridendo nel frastuono del cortile.
Foto di Ugo Zamborlini