Il Veneto e i veneti oggi? Ci stanno in un’immagine e uno slogan. Una piazza senza più panchine. Come quelle segate a Treviso, o con il divisorio anti-barbone a Verona o, ancora, quelle cosparse di grasso a Mestre. E il motto: Ghea podemo far! (possiamo farcela), che è un grido di battaglia dei tifosi della Reyer Basket Venezia, versione in salsa veneta dello slogan “Yes, we can”, lanciato da Obama, lo slogan che dice dell’America che sogna un grande domani.
I veneti oggi sono un po’ così. A metà strada tra due sentimenti contrastanti: la paura degli altri e di perdere quanto conquistato finora e la voglia di rialzarsi, che sta nel loro Dna. «Nel frattempo siamo impaludati. Incapaci di trovare idee nuove. Invecchiati mentalmente (ma anche anagraficamente se il 20 per cento della popolazione veneta ha più di 65 anni e il 10 più di 75, ndr). Se questa regione fosse una composizione musicale, sarebbe… un’incompiuta», suggerisce Mario Brunello, il grande violoncellista di Castelfranco Veneto, che tutto il mondo c’invidia.
Non ha più certezze economiche il Veneto che tra pochi giorni andrà alle urne. Non è più da anni la “locomotiva d’Italia”. La crisi e la perdita di ricchezza stanno in poche cifre: tra il 2008 e il 2014, meno sette punti percentuali nel Pil, meno dieci nella domanda interna, meno 22,5 per cento, addirittura, negli investimenti. Il cuore dell’ex mitico Nordest, nella graduatoria della competitività in Europa, viene staccato dalla Lombardia di 50 posizioni, denuncia 180 mila persone in cerca di lavoro e il triste record nazionale di suicidi di imprenditori.
Così oggi, che dopo anni di segni meno, timidamente, il “più” ha rifatto capolino, da queste parti si tira un respiro di sollievo: per il 2015 si prevede che il Pil regionale cresca dello 0,7 per cento? E l’export del quattro? Meglio di niente. A riprendersi sono soprattutto le aziende che hanno investito e innovato processi e produzioni, spiega il sociologo Daniele Marini nel suo libro Le metamorfosi. Il Nordest dipinto finora, spiega, non esiste davvero più. È finito il “piccolo è bello”: saranno le medie imprese (quelle dai 50 ai 250 dipendenti) a trainare la ripresa, quelle di cui il Veneto è comunque il più attrezzato: 1.500 sulle 4.000 in Italia. Anche la “Regione delle partite Iva” è immagine da rimuovere: i giovani cercano posto da dipendenti, più che nella media italiana.
Gli untori della crisi. Gli immigrati? Coloro che hanno rappresentato la forza motrice dell’economia veneta, ben accolti e integrati perfino nelle terre in cui la Lega arriva al 70 per cento, ora sono rifiutati da tutti. Gli untori della crisi. «Abbiamo già dato», protestano i sindaci. «Case prima ai veneti», incalzano i commercianti di Padova in fiaccolata anti-profugo.
Ma del Veneto solidale cosa è rimasto? «Di persone solidali ne incontro sempre», risponde il maestro Brunello. «Ma non so se ciò basti a farne la caratteristica di un intero popolo. L’altro giorno passeggiavo su un prato vicino a casa, quando un vecchio contadino mi si piazza davanti: De qua no se passa, el campo xe mio, mi ha sbraitato. Se io mi sento straniero in casa mia, che sono veneto, mi chiedo, come si sentirà un africano oggi in queste terre?».
Così, per l’ennesima volta, la campagna elettorale batte il chiodo della sicurezza e si ricicla la demagogia sugli immigrati. Come se in questi cinque anni in Veneto non fosse accaduto nient’altro. Eppure saranno le prime elezioni del dopo-Galan, l’ex doge travolto dallo scandalo del Mose, con l’importo più alto di tangenti mai raggiunto in Italia, un miliardo di euro in dieci anni, un terremoto che ha fatto fuori un’intera classe dirigente, ha portato il commissario a Ca’ Farsetti a Venezia, ma ha scosso anche la giunta del governatore Luca Zaia. Il candidato leghista, forte dei sondaggi che lo danno strafavorito per la vittoria, ostenta sicurezza e osanna i primati di qualità del sistema sanitario veneto.
Il governatore uscente avrebbe già potuto alzare il calice se nella Lega non si fosse consumata l’ennesima frattura con espulsione decisa da Matteo Salvini. Il sindaco di Verona, Flavio Tosi, ora corre per sé alle regionali. Riuscisse a portar via a Zaia più del 10 per cento dei consensi, potrebbe dare una chance di vittoria alla renziana Alessandra Moretti. Sarebbe un altro terremoto, per il Veneto “bianco”, e ora neanche più separatista.
La voglia di nuovo c'è se si parla addirittura di "Rinascimento" e non solo culturale. A muoversi sono soprattutto gli imprenditori che chiamano la politica per "tornare a competere", come dice il manifesto di proposte lanciate settimane or sono e sottoscritto da centinaia tra amministratori, uomini d'industria e di cultura della regione. Per tornare a correre, dopo essersi seduti troppo. Tanto, panchine in giro se ne vedono sempre di meno.