Il Teatro alla Scala di Milano ha una nuova guida musicale. Vista la fama di “tempio della musica” potremmo proclamare: «Abbiamo il direttore»! Non c’è nulla di ufficiale, ma il consiglio d’amministrazione ha deciso e sui mezzi d’informazione è subito rimbalzata la notizia: Riccardo Chailly, 60 anni, è il musicista scelto dal nuovo sovrintendente Alexander Pereira (già attivo, anche se sarà in carica dal 2014) per continuare la lunga tradizione italiana che, dopo i capitoli fondamentali di Claudio Abbado e Riccardo Muti in epoche a noi vicine, si era interrotta durante la lunga gestione di Lissner, il sovrintendente e direttore artistico uscente. Lissner, infatti, aveva optato per la formula abbastanza oscura di più “maestri scaligeri” e aveva poi affidato a Daniel Barenboim un compito di rilievo, ma tutt’altro che stabile.
Perché per la Scala è fondamentale avere un direttore stabile? Perché un’orchestra ha bisogno di vivere, crescere, studiare, formarsi, con un solo musicista, senza nulla togliere ai direttori ospiti. Perché alla Scala serve la mano di un italiano? Perché pur riconoscendo che i confini della musica sono ormai universali, come in tante occasioni sostenuto da grandi bacchette come Daniele Gatti o Riccardo Muti, ogni teatro deve conservare la propria tradizione, aprendosi al nuovo. Ecco, dunque, che Riccardo Chailly corrisponde alle prime due istanze.
Ma ce ne sono altre: Chailly è milanese, proviene da una famiglia di musicisti (il padre Luciano fu un compositore) e soprattutto a Milano ha vissuto due sue esperienze che vanno ora lette come presagi: la prima quando, a 20 anni, fu assistente alla Scala di Claudio Abbado e successivamente venne chiamato a sostituire Gianandrea Gavazzeni sul podio de I masnadieri, di Verdi (era il 1978, e in quei giorni, essendo impegnato con l’orchestra dei Pomeriggi musicali, si trovò in un attimo sbalzato sulla vetta della musica). La seconda, quando Luigi Corbani lo chiamò nel 1999 a consacrare l’orchestra Verdi e a portarla a livelli d’eccellenza, dando vita a un rapporto che ancora continua e ha contribuito a rendere Chailly un vero amico del pubblico della città.
E ancora: Chailly ha grande esperienza di musica lirica, ama il repertorio italiano (pensiamo a Verdi, Rossini e Andrea Chenier fra le produzioni presentate alla Scala; a Puccini con l'orchestra Verdi), ma è aperto anche alla musica tedesca, alla contemporanea (sempre con la Verdi ricordiamo un suo memorabile cd dedicato a Luciano Berio), a iniziative popolari ma di grandissima qualità che presenta in esecuzioni pubbliche e incisioni discografiche, come il Gershwin fatto in tante città, Milano compresa, davanti a 50.000 spettatori in piazza Duomo, con Stefano Bollani.
Nel suo curriculum si leggono incarichi di prestigio, come è naturale: la direzione del Concertgebouw di Amsterdam, la nomina a direttore della musica della città di Lipsia (compresa lo storico e leggendario Gewandhaus, con la sua orchestra), la direzione delle migliori orchestre e dei grandi teatri del mondo (è stato a lungo legato anche al Comunale di Bologna). A noi piace ricordare l’iniziativa di eseguire le Passioni di Bach alla vigilia di ogni Pasqua con l’orchestra Verdi (memorabile fu la sua Passione secondo Matteo). Ma anche le incisioni più recenti, dall’integrale di Beethoven al cd Viva Verdi con la Filarmonica della Scala, fino all’integrale di Brahms, sempre per la Decca.
E piace pensarlo come musicista capace di dialogare col pubblico, non solo attraverso la musica, ma anche con un microfono in mano. Senza divismi, ma con grande comunicativa. Perché, come ci disse, «è la passione stessa per la musica che mi spinge a comunicare con la gente. E tutto diventa facile».