Charlie Brown, compie 60 anni, ma ha fermato il tempo giocando, bambino per sempre come tutta la compagnia dei Peanuts, uscita dalla penna di Charles Schulz.
Là, dentro i quadretti delle strisce, si gioca a tennis, a baseball, a football e anche da quell’angolo particolare che è lo sport ogni personaggio realizza già tutto sé stesso.
Rappresentarsi anche solo mentalmente in Italia un cortile di bimbi significa vedere una palla e una bici, anzi tanti palloni e tante bici. Specificare che la palla è rotonda è un’ovvietà sesquipedale. Charlie Brown, Linus & Co., però, non giocano in quel cortile. C’è, nelle strisce, a un certo punto un triciclo, ma è un miraggio di Charlie Brown che armeggiando con la scatola dei cereali scopre che con 2000 punti avrà un triciclo. E, al ritmo di una scatola a settimana, l’avrà a 40 anni.
La bicicletta ricorre, ma il più delle volte è la coda della ruota posteriore di una bici da adulto: appartiene alla mamma di Linus, inquadratura fissa sul seggiolino abitato da Replica, il fratellino piccolo quasi un clone di Linus. Replica si vede proprio solo lì, con le mani sugli occhi, terrorizzato dalla disinvoltura con cui la mamma sfreccia nel traffico. Insomma sport, anzi trasporto, passivo che più passivo non si può.
Nella provincia americana degli steccati bianchi dei Peanuts non ci sono quasi palloni rotondi, il più delle volte è la palla ovale del football d’oltreoceano, ma non è, a dispetto dell’immagine di sport muscolare, una prova di forza, bensì un simbolo di tenera e ingenua fiducia che soccombe contro un atto di sopraffazione. La scena è ricorrente: Lucy tiene la palla verticale, invitando Charlie Brown a calciare, lui prende la rincorsa e quando è il momento di sferrare il colpo la bimba terribile porta via la palla all’improvviso facendo ribaltare il povero Ciccio.
Sempre così e chi legge un po’ se la prende con l’ingenuo ottimismo di Charlie Brown, prova tenerezza e un po’ di rabbia, immedesimandosi un poco per tutte le volte che nella vita anche a lui è capitato di farsi tradire due volte dalla stessa persona, sentendo salire quella vocetta dentro: Se uno ti inganna una volta è colpa sua, ma se ti inganna due volte è colpa tua. Charlie però non si arrende, ha fiducia nel mondo, e anche nella sua scassatissima squadra di baseball che si ostina ad allenare anche sotto piogge torrenziali, impavido, sulla pedana del lanciatore da cui partono sovente citazioni bibliche nascoste.
Ciccio non molla mai, anche se non vince mai: è tutti noi quando non ce la facciamo. A baseball giocano tutti: Snoopy, Piperita Patty, Lucy, Schroeder…E il baseball è inequivocabilmente il calcio dell’America. I più sono negati, e infatti la squadra perde sempre, si salva Patty, il ragazzaccio del gruppo, la bimba, scarsissima a scuola, talentuosa nello sport, un po’ invaghita di Charlie Brown che lei chiama affettuosamente Ciccio.
Patty trova la grazia, di cui solitamente si sente priva, pattinando sul ghiaccio: lì magicamente risolve la scarsità di fascino che ogni tanto abbatte la sua autostima. Pattina bene, Piperita, lo fa sotto la guida di Snoopy, nelle parti del burbero allenatore con il colbacco (chiara parodia dell’allenatore sovietico visto dall’America in tempi di guerra fredda).
Una delle strisce più belle ha a che fare proprio con Patty e con i suoi pattini: si lavora alla partecipazione a una gara, tutti si impegnano coralmente ad aiutare la piccola campionessa a mostrarsi all’altezza del fatto suo: Snoopy prova a cucirle un improbabile costume, poi pietosamente rimediato dalla mamma di Marcie. Charlie Brown le mette a disposizione il papà barbiere, per risolvere i quattro spinacini diritti di Patty in una acconciatura. Peccato che non si accorga che è una bambina e la rapi quasi a zero come un marine. Si rimedierà con una parrucca, ma l’epilogo sarà amaro: tutta la fatica andrà sprecata, si erano dimenticati di dire alla piccola Patty che la gara era di pattinaggio a rotelle.
La stessa storia ha invece un altro epilogo nella versione a cartoni animati. Il pubblico americano, appassionato di pattinaggio su ghiaccio, sa bene, che il regolamento delle gare di artistico impone la base musicale: pattinare senza musica anche per un guasto immediato comporta la squalifica, come ricorda chi vide la memorabile, inutile, esecuzione muta, perfetta e commovente di Ekaterina Gordeeva e Alexei Grinkov agli Europei di pattinaggio artistico del 1987.
Nel cartone animato Snoopy pasticcia con il nastro, la musica non parte. Panico. Se non fosse che lì vicino il tenero uccellino Woodstock prende coraggio e affronta la situazione: si posiziona sotto il microfono ed esegue con la sua vocina di violino una struggente versione strumentale di O mio babbino caro dal Gianni Schicchi di Puccini. Trionfo di Patty e lacrime di Snoopy, di tutti il più sentimentale.
Nelle strisce ci sono anche lo sci e l’hockey ghiaccio, altra passione maniacale del Nordamerica, ma manca quasi, stranamente, la pallacanestro. Appare una volta sola. Così: Charlie Brown arriva da Linus, che ha appena imparato a camminare, e gli mostra il pallone da basket provando a spiegargli sommariamente di che si tratta. Linus afferra il pallone e: blumpete, blumpete, blumpete: palleggia. Poi: swish, plumpt. Tiro e canestro nel cestino della carta. C’è tutto Linus in quel gesto: la sua precocità e intelligenza ma anche qualcosa del suo bisogno di sentirsi sicuro: cammina appena, è ancora malfermo sulle gambe e non prova ad alzarsi, fa tutto da seduto. In sicurezza. Ma senza coperta.
Sì certo: il grande Bracchetto, il chirurgo di fama mondiale, Joe Falchetto, l'asso della prima Guerra mondiale contro il Barone rosso. Ma Snoopy, 60 anni il 4 ottobre, ha sognato anche altro, sempre in grande. Snoopy è stato, è e sempre sarà un campione non solo di sogni. Sfida Linus in un incontro di boxe, con un solo guantone calzato sul naso. Il povero piccolo Val Pelt finisce al tappeto senza aver capito se per colpa di un destro o di un sinistro.
Disegnando Snoopy che pattina sul ghiaccio Charles Schulz mostra di avere una precisa conoscenza dei movimenti che caratterizzano la disciplina. Quando il bracchetto, dandosi arie non comuni, danza sul ghiaccio usando semplicemente le zampe non lascia dubbi a chi guarda: Snoopy sta pattinando anche se scivola semplicemente con le zampe, senza lame sotto i piedi. E questo perché i suoi movimenti, il bilanciamento del suo corpo, il gesto, sono inequivocabili, anche quando volteggia solo sul lago ghiacciato, senza nessuno che calzi i pattini vicino a lui.
Non solo pattina, sogna di pattinare con Peggy Fleming, con Sonja Henie, simboli della storia del pattinaggio di figura americano. Sogna di partecipare all'Olimpiade invernale di Grenoble del 1968, ovviamente al momento giusto. E' così che i Peanuts si ancorano alla realtà, attraverso i sogni di Snoopy, pensieri puri eppure aderenti al contingente, alla storia quando non alla cronaca.
Quando Snoopy gioca a tennis, anche se magari il suo problema principale è servire tenendo in equilibrio sulla racchetta due biscotti e un bicchiere di latte (la merenda è sacra), si immagina pronto a sfidare Billie Jane King. Dietro c'è un altro pezzo di storia americana non solo sportiva. La King alle prese con la battaglia femminista nel 1973 osò sfidare e battere sul campo l'invero un po' attempato collega Bobby Riggs.
Ma il meglio delle sue performances sportive Snoopy le dà nella fontanella gelata, la sua personale pista di pattinaggio, cui approda quando i bambini lo scacciano dalla loro pista stanchi delle sue evoluzioni boriose. Nella fontanella Snoopy trova tutti i riti dell'hockey e del pattinaggio: dagli inni nazionali alla macchina che liscia il ghiaccio brevettata anche in America con il nome italiano di Zamboni. Nella fontanella si consumano memorabili sfide a hockey con l'uccellino Woodstock che là dentro riesce anche a battere a volte l'inguaribile bracchetto sognatore. Che ovviamente non ci sta e sibila: «Giocava in casa».
Chissà come sarebbe emozionato Snoopy se sapesse che Lacoste ha deciso di festeggiare il 60° compleanno dei Peanuts, realizzando una serie limitata di magliette, in vendita soltanto presso il Dover Street Market di Londra, in cui il celebre coccodrillo incontra i personaggi di Schulz: una volta sbuca dalla cuccia di Snoopy, un'altra prende in bocca la coperta di Linus.
E' il sogno di Snoopy che si realizza, lui vuole sempre cimentarsi con i campioni e senz'altro sa che Monsieur René Lacoste prima di diventare una marca di magliette era stato un grande tennista. Con Jacques Brugnon, Henri Cochet e Jean Borotra fece parte della formidabile squadra francese dei "quattro moschettieri", che strappò la Coppa Davis agli statunitensi nel 1924 e la vinse per sei stagioni consecutive. Il coccodrillo divenne il suo simbolo perché così lo soprannominarono i giornalisti americani convinti che fosse uno che non mollava mai la preda, finché un amico non gli disegnò un coccodrillo da ricamare sulla giacca.
Anche nei panni del grande esploratore Snoopy non avrebbe potuto chiedere di meglio. I Peanuts sono protagonisti anche di una serie speciale di tacquini Moleskine, celebri nel mondo, perché disegnati sul modello di quelli che Bruce Chatwin amava portare con sé nei suoi viaggi di avventura. A differenza di Snoopy scrittore, sempre respinto con l'insultante circolare: «Caro collaboratore, le rimandiamo il suo stupido racconto», Chatwin non ebbe difficoltà a farsi consacrare scrittore di viaggio. Chissà che il bracchetto non si senta in parte risarcito dall'omaggio di Moleskine, potrebbe valere come un riconoscimento di scrittore ed esploratore honoris causa.