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lunedì 16 settembre 2024
 
Charlie Hebdo
 

Allievi: «Il pericolo arriva dal terrorismo diffuso»

08/01/2015  Stefano Allievi, sociologo ed esperto del mondo islamico, analizza l'attentato di Parigi: «I killer di Parigi non sono professionisti. Siamo di fronte a un terrorismo diffuso di matrice islamica, interno, quasi casereccio, che può colpire ovunque e ha alla base un sentimento di rivalsa verso le libertà delle nostro società occidentali. E proprio per questo molto più pericoloso e difficile da combattere»

Stefano Allievi insegna Sociologia all'Università di Padova
Stefano Allievi insegna Sociologia all'Università di Padova

«I killer di Parigi non sono professionisti. Siamo di fronte a un terrorismo diffuso, quasi casereccio, che può colpire ovunque. E proprio per questo molto più pericoloso e difficile da combattere».
Stefano Allievi, docente di Sociologia all’Università di Padova, è un esperto dell’Islam e studia da diversi anni la sua presenza in Europa.

Professore, molti analisti hanno detto che l’assalto al Charlie Hebdo è stata una dichiarazione di guerra all’Europa. È d’accordo?
«No, è un atto di terrorismo. Parlare di guerra è sbagliato perché presuppone due civiltà e due popoli che si scontrano. È un atto terroristico molto evidente perché riguarda un manipolo, una minoranza di persone, che usano il terrore per rendersi visibili dato che in un conflitto non lo sarebbero. La guerra va dichiarata da due oppositori, il terrorismo si dichiara da una parte sola e non guarda in faccia nessuno, le sue vittime, per definizione, sono innocenti. L’immagine che colpisce di più del massacro di Parigi è quella del terrorista che spara il colpo di grazia sul poliziotto: sono entrambi musulmani, l’agente si chiamava Ahmed e aveva deciso di servire il suo Paese, la Francia, facendo questo mestiere».

I terroristi erano cittadini francesi, nati a Parigi, forse reduci dalla guerra in Siria e tornati in Francia l’estate scorsa. Cosa significa?
«Che ci sono sacche pericolosissime di terrorismo interno di matrice islamica. Come il terrorismo indipendentista palestinese o irlandese o quello brigatista che si dichiarava comunista».

L’appartenenza ad Al Qaeda è plausibile?
«Non mi convince molto. Che loro lo dichiarino non significa che sia così. Se fosse un terrorismo targato Al Qaeda sarebbe anche meglio perché più facilmente identificabile. Non sono d’accordo neanche che si tratta di professionisti:  hanno sbagliato indirizzo del giornale, alcuni movimenti durante l'esecuzione sono goffi. È vero, hanno ucciso dodici persone ma da noi c’è sempre il vezzo giornalistico di dipingere il nemico più bravo e più forte di quello che è. Questa mancanza di professionalità, se così possiamo dire, rende questo terrorismo molto più pericoloso, anche perché sentimenti del genere di rivalsa e vendetta possono colpire ovunque, sono pervasivi, alla portata di chiunque».

C’è bisogno di maggiore controllo sulle moschee adesso?

«La propaganda avviene prevalentemente su internet e i social media. La polemica sulle moschee è puramente strumentale, molti lo fanno sfruttando il fatto tragico per le proprie battaglie  ideologiche e anti islamiche. Legittime per carità ma sbagliano completamente bersaglio. Dire che è in corso una guerra di civiltà è falso e soprattutto si cade nella trappola dei terroristi i quali desiderano che le loro azioni si trasformino in atti di guerra. Gli imam, invece, hanno l’interesse opposto: collaborare con le forze di polizia, essere una casa di vetro, le moschee sono tra i posti più controllati d’Europa, tra Digos, forze di polizia e servizi segreti. In qualche caso sporadico può uscire da lì qualche terrorista ma oggi la propaganda  e il reclutamento avvengono su Internet».

Se non c’entrano con Al Qaeda, sono organici all’Isis e al progetto del califfato?
«Difficile da dire perché da un lato non c’è una rivendicazione esplicita e dobbiamo limitarci a quello che hanno detto dopo la sparatoria: “Allah è grande” e “Abbiamo vendicato il Profeta”. Quello che possiamo dire è che non sono stati mandati da Al Baghdadi a fare l’attentato al Charlie Hebdo che non sanno neanche cos’è in Siria, in questo senso non sono organici. C’è una forma di terrorismo interno che è più preoccupante. L’idea di un terrorismo organizzato con un’organizzazione internazionale e un capo come Bin Landen che tira le fila dalle grotte dell’Afghanistan è più facile da combattere e colpire.
Alla fine Bin Laden l’hanno preso e ammazzato. Qui siamo di fronte a un terrorismo più diffuso, quasi casereccio mi vien da dire, e alla portata di chi vuole farlo».

Cosa vuole l’Isis?
«A differenza di Al Qaeda, il cui obiettivo era essenzialmente ideologico, ossia colpire l’Occidente e i suoi simboli, l’Isis in quanto tale ha un vero e proprio obiettivo territoriale: istituire il califfato. Per loro è come il socialismo realizzato con in più la benedizione divina. Colpire l’Occidente è secondario. Il califfato attrae dall’Occidente, non ha voluto colpirlo. Il grosso del suo lavoro avviene altrove, in Siria e in Iraq. Nella sua propaganda è fortemente anti occidentale, è vero, ma è un mezzo per raggiungere il fine: uno stato ben definito dove l’unica legge vigente è quella islamica della shari’a».

C’è chi ha parlato di 11 settembre dell’Europa e dell’informazione. È giusto?
«Il massacro di Parigi e l’attentato alle Torri Gemelle di New York sono due cose molto diverse. Nel 2001 l’obiettivo dei terroristi era quello di colpire con durezza il simbolo di una potenza imperiale. In questo caso no. Non credo che la redazione di Charlie Hebdo sia stato colpita perché la Francia è implicata nella questione siriana, nella lotta contro il califfato. In quel caso avrebbero colpito  le istituzioni. C’è un clima diverso rispetto al 2001. Per quanto riguarda la libertà di stampa e la libertà in generale nelle società occidentali è un colpo durissimo, in questo senso di può parlare di 11 settembre. Sì è colpito un giornale che sull’anti islamismo aveva costruito una parte della sua capacità provocatoria ma che prendeva di mira tutte le religioni. Charlie Hebdo aveva un retroterra antireligioso e anticlericale molto forte, non ce l’aveva con l’Islam in quanto tale».

Ma solo alcuni che si richiamano all’Islam hanno reagito con i kalashinov.

«E questo, che non è il primo caso in Europa, pone il problema della libertà d’espressione e del rapporto tra Islam e Occidente. Pensiamo ai versi satanici di Salman Rushdie per i quali ora vive sotto scorta o all’assassinio di Theo Van Gogh. Questo massacro si pone in continuità più che con l’11 settembre 2001 con un problema serio che è quello del diritto  della libertà d’espressione e d’opinione nel suo carattere universale che alcuni non riconoscono come universale e nemmeno come diritto. Questa, in Europa e in Occidente, è la battaglia culturale dei prossimi anni».

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