Che altro potevano fare i presidi, fiorentini e non solo, davanti alla preoccupazione che la violenza politica possa tornare a esplodere sulla soglia delle scuole, se non ribadire i valori fondanti della Costituzione della Repubblica, nata sulle macerie della Seconda Guerra mondiale trovando un’intesa virtuosa tra forze politiche diverse, anche fieramente contrapposte, sedute a un tavolo a disegnare un futuro che dicesse: mai più, ai presupposti che hanno portato all’affermazione della dittatura culminata nelle leggi razziali. Su quella premessa si sono voluti i contenuti della Costituzione, ma anche la sua forma rigida e disegnata su un sistema delicato e complesso di contrappesi volti a impedire la prevaricazione di un potere sull’altro.
Un preside che si proclamasse fascista o anche solo non antifascista – parola che non è come alcuni a volte temono sinonimo di comunista - si porrebbe in contraddizione con la propria funzione pubblica, si chiamerebbe fuori dal perimetro delle istituzioni nell’ambito delle quali lavora; avrebbe un problema, quantomeno ma non solo, di coerenza con la disciplina che gli chiede l’articolo 54.
Che altro avrebbe potuto fare la preside del Liceo Leonardo Da Vinci che ha scritto agli studenti la lettera diventata virale sui social se non ricordare loro che le dittature non sono fiumi in piena che sboccano dal nulla, ma ingrossano a poco a poco il proprio seguito: nascono torrentelli e arrivano ad abbattere i ponti quando chi sta sulla riva guarda l’acqua che passa senza rafforzare gli argini. Non per niente ha citato il pericolo dell’indifferenza, non a caso la stessa parola che sta scritta come monito sul binario 21 della Stazione di Milano da cui partirono i treni per Auschwitz, non a caso il contrario dell’I Care, mi interessa, in contrapposizione al motto fascista me ne frego, che stava sulla porta della camera di don Lorenzo Milani, prete e maestro, fiorentino anche lui, nato 100 anni fa e, caso vuole, morto nel 1967, nella casa di sua madre in via Masaccio, giusto a qualche centinaio di metri dal liceo Michelangiolo, sulla cui soglia è avvenuto il pestaggio che oggi fa temere rigurgiti di violenza politica, in cui hanno avuto la peggio due studenti della scuola e in cui sono stati identificati sei esterni, tre minorenni e tre maggiorenni che potrebbero trovarsi a rispondere di violenza privata.
Quel messaggio contro l’indifferenza, vale per ogni sopruso ignorato quale che ne sia il colore. Che altro avrebbero potuto fare, educatori di professione al vertice degli istituti dello Stato, se non ricordare che le idee in democrazia si contrappongono nella dialettica delle parole, che affermarle con la violenza è sposare la via della prevaricazione, che è stata il fiume carsico che ha portato alla tragica piena del regime sfociato nella guerra al fianco di Hitler.
Che altro avrebbero potuto fare se non ricordare di non voltarsi di là ma di isolare i violenti, in un Paese che prima che i loro studenti nascessero ha conosciuto prima la dittatura iniziata «sui marciapiedi» con azioni di squadrismo, e dopo un’altra stagione di violenza politica, iniziata con le idee contrapposte a botte nelle scuole e nelle università, e alla fine degenerata negli estremismi del terrorismo rosso e nero. Una stagione che il Paese disegnato dalla Costituzione, figlia della storia di cui sopra, ha potuto contrastare efficacemente, pur pagando un prezzo elevato, con la sola forza delle leggi ordinarie e del diritto, senza bisogno di apparati speciali. Prova che quel disegno di Costituzione con tutti i suoi limiti ha funzionato, come argine.
Che altro avrebbero potuto fare, i presidi, se non ricordare che la democrazia va presidiata vivendo nei suoi valori, giorno per giorno, per lasciar proseguire la storia senza essere condannati a riviverne i giorni violenti?
Che altro avrebbero potuto fare se non fare il loro lavoro di educatori esponendosi da adulti per primi per insegnare a non voltare la faccia, a non aver timore di dire di no alle idee espresse con la violenza, come egregiamente ha fatto anche con coraggio fisico quella professoressa del Liceo Michelangiolo che, passando davanti alla sua scuola, ha visto i calci e i pugni volare e si è messa con la sola forza della sua voce pacata e dei suoi libri sottobraccio tra chi picchiava e chi le prendeva, riuscendo a disperdere i violenti affermando nei fatti anche simbolicamente la forza della cultura sul sopruso della forza bruta? Rischiando del suo. Se è vero che si educa con l’esempio il suo lo è stato.