Un'immagine dell'incendio provocato nella stazione di Viareggio il 29 giugno 2009.
(Foto sopra: Domenico Iannacone nella puntata "Io sono vivo" del programma "Che ci faccio qui")
E’ il 29 giugno del 2009: alle 23,48 un treno merci Trecate-Gricignano carico di gas gpl, lanciato a 90 km/h, deraglia quando si trova già alla stazione di Viareggio (provincia di Lucca). Il gas fuoriesce da una cisterna perforatasi a seguito dell’urto, provoca incendi ed eplosioni che nel giro di pochissimi minuti invadono il centro abitato devastano case e infrastrutture, causando la morte di 32 persone, il ferimento di altre 25, ustionate, e moltissimi danni materiali. L’incidente è passato alla cronaca come la “strage di Viareggio”. Ai funerali di Stato, nello stadio Torquato Bresciani, partecipano 30mila persone. A seguito dell’indagine giudiziaria sul disastro, il 20 giugno del 2019 la Corte di appello di Firenze condanna alcuni vertici e dirigenti delle Ferrovie e di società ferroviarie estere che si occupavano dei carri merci, per le accuse di disastro ferroviario, omicidio plurimo colposo, lesioni colpose, incendio: fra i condannati, l’ex amministratore delegato di Ferrovie dello Stato e Rete ferroviaria italiana Mauro Moretti a 6 anni di reclusione, Michele Mario Elia, ex ad di Rfi, e Vincenzo Soprano, ex ad Trenitalia, a 6 anni.
Il 30 novembre sera, su Raitre alle 23,15, a due giorni dalla pronuncia della Corte di Cassazione sul ricorso presentato da sedici condannati (fissata per il 2 dicembre), il giornalista Domenico Iannacone riparte con il suo docu-reality Che ci faccio qui proprio da uno dei disastri ferroviari italiani più gravi di tutti i tempi. Nella prima delle quattro nuove puntate, Iannacone dà voce al terribile dramma di Marco Piagentini, presidente dell’Associazione familiari delle vittime, che in questi undici anni si è sempre impegnata per mantenere viva la memoria dell’accaduto.
Nella strage di Viareggio, Piagentini ha perso sua moglie Stefania e due dei loro figli, Luca e Lorenzo, di appena 4 e 2 anni. Leonardo, il figlio più grande, che aveva 8 anni, si è salvato. Piagentini stesso è stato gravemente ferito, ustionato sul 90% del suo corpo, ha affrontanto con straordinario coraggio sessanta interventi chirurgici in anestesia totale. "Uno o sceglie di lasciarsi andare, o sceglie di continuare a vivere", sono le parole che Piagentini rivolge al giornalista.
Nella puntata, a raccontarsi è anche Daniela Rombi, che nell’inferno di Viareggio ha perso la figlia 21enne Emanuela Menichetti, morta dopo 42 giorni di agonia nel reparto grandi ustionati dell’ospedale di Cisanello. Ancora una volta Iannacone indaga e racconta un avvenimento italiano con uno sguardo introspettivo, passando dal piano della pura informazione giornalistica a quello della riflessione, mettendo in luce l’umanità alla radice di ogni evento di cronaca. Ascolta i protagonisti con il rispetto e la straordinaria empatia che caratterizzano il suo stile giornalistico e il suo programma, sfiora le loro cicatrici - impresse sulla pelle e nell’animo - con grande delicatezza. Io sono vivo è il titolo della prima nuova puntata di Che ci faccio qui: un grido di speranza e un appello accorato a non dimenticare.
Le storie delle quattro nuove puntate hanno come filo conduttore il tema del corpo come testimonianza tangibile della sofferenza, fragile ma insieme capace di compiere meraviglie. Storie come quella di Felice Tagliaferri (protagonista della quarta puntata), 51enne scultore, non vedente dall'età di 14 anni, che dal 2006 dirige una scuola di arti plastiche e attraverso il suo lavoro si impegna perché la fruizione artistica sia un diritto garantito a tutti, senza distinzioni.