Ho letto l’articolo di Alberto Chiara sul sito famigliacristiana.it del 3 ottobre scorso, in cui ricostruisce il pensiero dei Papi circa l’uso delle armi nucleari. Possiamo ricavare qualche indicazione pratica per noi?
Come mostrato nell’articolo da lei citato, la questione delle armi atomiche da una parte si inserisce nella riflessione secolare della “guerra giusta”, e quindi dell’uso delle armi per la difesa, dall’altro, l’inedita potenza distruttiva della bomba atomica – il cui uso (ma anche il cui possesso) rappresenta l’atto più immorale che si possa immaginare – ha costretto a rivedere il pensiero e le sue categorie. Paradossalmente questo tema, questa minaccia e questa angoscia possono aiutarci a riflettere su noi stessi e a entrare nel cuore del nostro agire. La questione delle armi nucleari, infatti, da una parte ci fa sentire di essere impotenti, lontani da talune decisioni. Debole pare il nostro impegno, per non dire inutile. Dall’altra, però, ci richiama a fermarci e a vagliare il nostro impegno quotidiano. Ecco, allora, tre provocazioni:
Prima provocazione: la potenza distruttiva di tali armi. È, in qualche modo, una “novità” rispetto alla riflessione precedente sull’uso delle armi. Si tratta di ordigni capaci di distruggere, in una frazione di tempo, un numero incalcolabile di vite umane e l’ambiente in cui vivono. Siamo, quindi, invitati nel nostro piccolo quotidiano a riflettere sulle nostre responsabilità declinate nel tempo e nello spazio. Le nostre azioni – piccole o grandi che siano – non hanno impatto solo sul presente, ma anche sul futuro; non influiscono solo in un preciso luogo, ma su tutta la casa comune. Questione tanto più urgente quanto più ricollocata in un mondo sempre più globalizzato.
Seconda provocazione: la minaccia dell’uso – tramite il possesso (esplicitamente denunciato come “peccato” da papa Francesco) – di tali armi. Nell’articolo che lei cita è messo in luce come i Pontefici parlino di “clima” in cui ci muoviamo, agiamo, viviamo. Siamo, quindi, invitati a riflettere sullo stile del nostro agire quotidiano e del “clima” che costruiamo attorno a noi: come e perché costruiamo un clima di pace? La pace è solo quella internazionale e geopolitica o anche quella del nostro quotidiano? La pace è solo “assenza di guerra”? Il richiamo non è banalmente quello di partecipare a estemporanee manifestazioni di piazza per proclamare il nostro desiderio di assenza di conflitti armati, quanto quello di costruire concretamente – sporcandoci le mani – un clima pacificatore attorno a noi, nelle nostre relazioni.
Terza provocazione: la presenza sempre crescente di queste armi ci invita anche a verificare i modi in cui – magari inconsapevolmente – alimentiamo la proliferazione di tali armi. La campagna “Don’t bank on the bomb” (www.dontbankonthebomb.com/) ci permette di verificare, ad esempio, quali banche sostengono la ricerca e l’acquisto delle armi nucleari, con i nostri soldi. Siamo, quindi, richiamati a porre attenzione al nostro “potere di portafoglio”, alle nostre connivenze implicite, a come alimentiamo – talora davvero inconsapevolmente o per ignoranza – situazioni di peccato.
Per concludere: nessuno ha in mano le sorti globali e totali della pace. Nessuno ha una soluzione immediata e pratica. Ma tutti siamo chiamati a sentirci dire: «Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Matteo 25,21).