Capita spesso che a fine anno scolastico un genitore, di fronte alla bocciatura del figlio, si ponga la domanda “E adesso che cosa serve fare?”. Non tutte le bocciature sono identiche. Alcune sono inattese e gettano la famiglia nello sconcerto. Altre invece sono più che attese. Sono bocciature costruite giorno dopo giorno da un figlio che non ha voluto (e il verbo non è di circostanza) fare nulla per guadagnarsi la promozione. I genitori hanno assistito impotenti alla costruzione dell’esito avverso, certificato dalla dichiarazione di non ammissione alla classe successiva del percorso scolastico. “Il ragazzo non ha fatto nulla, non si è applicato, non ha aperto libro, ha passato tutti i pomeriggi con i videogiochi”.
Le frasi con cui il genitore commenta la bocciatura di un figlio lo connotano come un “lavativo” che non è riuscito in alcun modo a costruire alcun equilibrio tra la dimensione del dovere e la dimensione del piacere. A questo punto il tempo dell’estate deve essere un tempo di riparazione. Bisogna “riprogrammare” le priorità di un figlio che nel precedente anno scolastico non ha saputo mettere in gioco responsabilità e competenze che sarebbero state necessarie per assolvere ai doveri scolastici. Soprattutto bisogna aiutare un figlio a comprendere che la vita è anche fatica, dovere e sacrificio. Più facile a dirsi che a farsi.
Come si fa a insegnare la fatica a un figlio, a dargli incarichi e responsabilità? Molti genitori sembrano disarmati di fronte a questa prospettiva. Lo stesso menefreghismo con cui un figlio non si è occupato della sua scuola, viene dallo stesso figlio usato per schivare le richieste di impegno e di aiuto che i genitori propongono per essere aiutati a casa. “Metti la camera a posto, occupati della raccolta differenziata dei rifiuti, taglia l’erba del giardino, prepara la cena”. La liste degli impegni da assolvere può essere lunga un chilometro, ma in molte famiglie non serve a nulla: il lavativo tratta i doveri di casa come tratta i doveri di scuola. Sembra essere questa la situazione che ha portato due genitori di un 16enne respinto in Veneto a lanciare, attraverso i social, un appello ad un potenziale datore di lavoro: “prendete nostro figlio alle vostre dipendenze, insegnategli la fatica anche in assenza di retribuzione”. Sembra essere una richiesta che sottende il bisogno di una terapia d’urto: nostro figlio non sa cos’è la fatica, qualcuno gliela insegni.
Però c’è qualcosa che non funziona in questa procedura riabilitativa. Insegnare la fatica a un minorenne non può essere il compito di un datore di lavoro. Non si manda un figlio a lavorare “gratis” presso uno sconosciuto, per dargli una lezione. Quello che ne deriverebbe rischia di causare una demotivazione ancora maggiore. Perché trasforma il lavoro in fatica e sfruttamento. Un figlio deve imparare la responsabilità all’interno di un’esperienza di lavoro, deve averne una retribuzione giusta e il genitore può eventualmente esigere di “mettere via” il compenso guadagnato dal 16enne per pagare tasse scolastiche, libri e le ripetizioni che si renderanno necessarie nel momento in cui si trovasse ad andare male a scuola anche nel successivo anno scolastico. Rendere un figlio responsabile non vuol dire sottoporlo a mortificazione o sfruttamento. Significa metterlo in condizioni di riconoscere che la vita ha delle regole e che l’adolescenza è il tempo in cui tali regole devono essere imparate sia sul piano teorico che sul piano pratico.
Chiaramente, questi genitori hanno un merito nel loro progetto riabilitativo: non hanno fornito al figlio un alibi per la sua bocciatura. Per esempio, non hanno incolpato la scuola perchè è stata troppo severa. Auguriamo a questi genitori che possano trovare una pizzeria che permetta al ragazzo di svolgere un lavoro stagionale, impegnativo e correttamente retribuito. Auguriamo a questo figlio di poter avere una sera tra i suoi clienti i suoi genitori da servire, mostrando loro che quando il gioco si fa duro, “lui è un duro che comincia a giocare”. Più in generale auguriamo a tutti i nostri figli e a noi genitori di trasformare una sconfitta o un errore in un’occasione di crescita e di reale apprendimento.