Sopra, le suore francescane della Beata Velotti di Casoria, comune alle porte di Napoli. In alto, suor Enza de Stefano, napoletana, 53 anni e da sempre tifosa del Napoli, da solista ha intonato ‘Forza Napoli’ scritta da Nino D’Angelo nel 1987 anno del primo scudetto del Napoli. In copertina, così Napoli qualche ora fa. Foto dell'agenzia di stampa Ansa.
“Azzurro, il pomeriggio è troppo azzurro e lungo per noi”. Se fosse stata una canzone, l’attesa dei napoletani poteva rivestirsi di queste parole e di queste note. Un tempo infinito, dilatato, ha separato i partenopei dalla gioia per la conquista del terzo titolo di campione d’Italia. Alle 22.20 finalmente la festa è esplosa in città. Il Napoli, in trasferta in terra friulana, ha pareggiato 1 a 1 con l’Udinese, aggiudicandosi così il punto decisivo per decretare la vittoria matematica dello scudetto.
Allo stadio “Diego Armando Maradona” di Fuorigrotta, aperto in via eccezionale per ospitare 8 maxischermi su cui è stata trasmessa la partita di Udine, il boato dei 50mila spettatori ha fatto vibrare la terra, un sussulto registrato anche dai sismografi installati dalla facoltà di Ingegneria dall’Università Federico II: un terremoto di tifo e d'entusiasmo. D’altra parte la città, il popolo tutto, lo aspettava da domenica scorsa, 30 aprile, quando lo scudetto è diventato “sospeso” come il caffè, atteso come una ‘grazia’. Sì, perché i napoletani sanno bene cosa vuol dire aspettare. Si aspetta il tempo migliore per far uscire i bambini di casa e far godere loro il primo sole primaverile, si aspetta una vera e reale rinascita economica, si aspetta la fine del malaffare e della camorra. È l’attesa a scandire i tempi di una città dalla storia millenaria. Come quella per il miracolo di San Gennaro, attesa mistica fatta d’amore e di fede. E allora ecco il Santo, il Patrono simbolo di un popolo attraversare in processione tra i vicoli del centro storico addobbato a festa, dove il rosso, il porpora e il giallo oro si fondono con il bianco e l’azzurro degli striscioni che avvolgono i vicoli in una sorta di abbraccio eterno. Tre scudetti, tre eventi, tre storie da raccontare.
Balli, poesie e canzoni, come quelle cantate dalle suore francescane della Beata Velotti di Casoria, comune alle porte di Napoli. In cerchio, accompagnate dalla chitarra, hanno intonato “Sarò con te e tu non devi mollare, abbiamo un sogno nel cuore, Napoli torna Campione” il coro divenuto famoso nelle curve dello stadio partenopeo, mentre suor Enza de Stefano, napoletana, 53 anni e da sempre tifosa del Napoli, da solista ha intonato ‘Forza Napoli’ scritta da Nino D’Angelo nel 1987 anno del primo scudetto del Napoli. Non una semplice canzone ma un inno e gli inni alla squadra del cuore si sa, sono un po’ come delle preghiere. “Vogliamo trasmettere ai ragazzi un agonismo pulito e siamo in prima linea perché ciò accada, per far capire loro che le cattive compagnie non portano da nessuna parte”. A parlare è suor Rosalia Vittozzi preside dell’Istituto Velotti che insieme ai ragazzi ha deciso di abbellire il cortile e le aule dell’istituto di Casoria con bandiere e festoni azzurri. “Viviamo con loro, con i ragazzi, una gioia. Una gioia che condividiamo perché sana, pulita. Al mattino vengono a scuola con la maglia del Napoli e dall’asilo al liceo è tutta una festa, uno stare insieme felici”.
Sopra, don Marco Beltratti, 54 anni, parroco di Nostra Signora del Sacro Cuore, al Vomero, con i ragazzi dell'oratorio. Foto di Giuseppe Carotenuto.
“La fede è insegnare ad amare il prossimo e lo sport è uno strumento fondamentale per i bambini ed i ragazzi”. Don Marco Beltratti, sacerdote nella parrocchia del Vomero di Nostra Signora del Sacro Cuore non nasconde l’altro suo amore e ai ragazzi dell’oratorio il catechismo passa in rassegna le buone pratiche analizzando anche la ‘metafora calcistica’. “Il sacrificio, la fatica e la costanza che c’è dietro una vittoria sono fattori importanti che un bambino deve capire da subito - spiega don Marco - ed ecco che la festa è qualcosa di più, un festeggiamento sano è fonte di gioia, amore e soprattutto di fratellanza”. E così ogni domenica alla messa dei ragazzi don Marco li saluta ricordando le due fedi, “Andate in pace e forza…” e dalle panche che diventano un piccola curva, i bambini rispondono ‘Napoliiiiii’.
Forcella, quartiere Pendino, la Pignasecca, San Biagio dei Librai, via dei Tribunali, San Gregorio Armeno, i Quartieri Spagnoli, Chiaia e, via via, tutta la città. Trentatré anni di attesa hanno maturato una scenografia senza pari. Il popolo napoletano, in vista della matematica certezza della conquista del terzo scudetto, da settimane ha addobbato la città. Quasi mai si tratta, però, di semplici festoni. Perlopiù gli striscioni contengono messaggi di rivendicazione, rivalsa, sfottò. Se da un lato l’immagine di Maradona – di un iconico che quasi sfocia nel religioso con tanto di tempietto e di venerazione dell’immagine del piede – non è nemmeno scalfita dai volti moderni di Osimhen o Kvara, la Juventus è il bersaglio preferito dagli azzurri di ogni età. Una assuefazione partenopea che nel ribaltamento degli storici valori calcistici trova eccezionale conferma.
Ma c’è di più: in quel ‘sono napoletano, non sono italiano’ scritto su un cuore azzurro affondano le radici della ‘grande bellezza’ borbonica, qui ritenuta soffocata da quanto conseguì dalla unità d’Italia. Eppure, poco lontano, nella omonima piazza, è ospitata una delle statue di Garibaldi (a cavallo) più grandi d’Italia. A Napoli anche le contraddizioni sono magnifiche. E allora ecco il Vesuvio, temuto e amato spauracchio dei cori razzisti, essere celebrato con tanto di eruzione con fuochi d’artificio nel cuore di Forcella. Il sogno di una città, di un popolo, è diventato realtà: 33 anni dopo il secondo scudetto targato Diego Armando Maradona, il tricolore torna sulle maglie del Napoli; un Napoli diverso da quello di Diego, questo targato Spalletti, Osimhen, Kvaratskhelia, Kim.
Ma i fili azzurri sottesi tra le strade, nel cuore della città a collegare quelle due storie vincenti non mancano. In via Emanuele De Deo il maxi murales del Pibe de Oro si colora d’azzurro al triplice fischio, con la piazza invasa da fumogeni e fuochi d’artificio. I caroselli di auto e scooter invadono le strade della città, da Fuorigrotta al Centro storico, dal lungomare alle periferie fino ai comuni della provincia. Intanto per motivi di sicurezza e ordine pubblico, la partenza della squadra allenata da Luciano Spalletti è stata posticipata. I calciatori azzurri potrebbero rientrare da Udine venerdì pomeriggio con un volo che atterrerà nell’aeroporto militare di Grazzanise, in provincia di Caserta.
Questa notte non è solo di Napoli, questa notte è del Sud, di chi lotta per un sogno: così ripetono per strada. Accade allora che l’Italia intera si risvegli con i colori azzurri, dalla punta dello stivale al profondo Nord dove vivono migliaia di partenopei “emigrati per lavoro o studio”. E ancora oltre oceano. È pomeriggio a Buenos Aires, Argentina, quando esplode la festa. Sì, perché lì non hanno mai dimenticato l’amore dei napoletani per il loro idolo Maradona. E per un giorno o forse anche più, a Rosario - dove Diego passò l’infanzia giocando con la maglia dei Cebollitas e dove nel 1998 alcuni tifosi fondarono la Iglesia Maradoniana, la chiesa di Maradona - le luci del barrìo si sono dipinte di azzurro Napoli. E l’azzurro ha illuminato anche gli sguardi di chi spera in un futuro migliore. Qualcuno ha fissato una bandiera su un caseggiato abbandonato sull’istmo di Nisida, l’isolotto che ospita il carcere minorile partenopeo. Come a lasciare un messaggio a chi sogna dietro le mura del penitenziario. ‘Nun te preoccupà guagliò ce sta o’ Napule for’.
Sul numero 19 di Famiglia Cristiana, in edicola da giovedì 4 maggio, viene pubblicato un reportage su come il capoluogo campano s'è preparato all'appuntamento.