Dopo il grande successo dei tre romanzi di Ilaria Tuti che hanno come protagonista il commissario Teresa Battaglia, sessantenne poliziotta dalle grandi doti intuitive che si accorge di essere malata di Alzheimer, ora il primo libro, Fiori sopra l’inferno (Longanesi), diventa una fiction su Rai 1 dal 13 febbraio, diretta da Carlo Carlei e coprodotta da Rai Fiction e Publispei. Nel ruolo della protagonista Elena Sofia Ricci, con un’interpretazione magistrale che rende al meglio le sfumature di una donna geniale e sensibile.
È la prima volta che interpreta un commissario di polizia?
«Mi è capitato anni fa in Squadra mobile scomparsi, con Claudio Amendola, ma non mi interessava più quel tipo di ruolo, mi annoiava. Ho invece accettato con entusiasmo la parte di Teresa Battaglia dopo aver letto gli splendidi romanzi di Ilaria Tuti, perché lei in realtà è una profiler, cioè deve ricostruire il profilo psicologico dei serial killer, empatizzare con loro, scoprire il loro stato d’animo e cosa li spinge a uccidere».
Una donna scostante, sicura di sé, eppure così fragile.
«La definirei ruvida, ha cercato di seppellire la sua femminilità, ma ha un lato vulnerabile, che poi è quello che accade a tutti noi, cioè dover fare i conti con i propri demoni».
Ha conosciuto persone malate di Alzheimer?
«Ho vissuto questo dramma attraverso due mie amiche, le cui mamme sono state a lungo malate. L’Alzheimer è una patologia che coinvolge tutta la famiglia, soprattutto quando ad ammalarsi sono le donne, che solitamente sono i pilastri su cui fare affidamento».
Teresa, mentre è spietata nei confronti degli adulti, ha una dolcezza particolare nei riguardi dei bambini.
«Sì, con i bambini emerge il suo lato materno e accudente, memoria di un suo personale dolore».
Teresa Battaglia è un personaggio molto amato dai lettori. Paura di deluderli?
«La Teresa Battaglia descritta da Ilaria Tuti è molto diversa da me. È un omaggio alla grande fotografa Letizia Battaglia, figura che ha molto affascinato l’autrice. Sicuramente qualche lettore rimarrà deluso perché se la immagina in un altro modo. Con il regista, la truccatrice e la parrucchiera abbiamo scelto di farle avere la treccia, che è un po’ il simbolo del suo essere amazzone, guerriera».
La scrittrice è venuta sul set?
«Sì, e mi sono letteralmente inginocchiata ai suoi piedi. Non me la immaginavo così giovane e così umile, anzi, grata per quello che stavamo facendo. Era molto emozionata e meravigliata di tutti i meccanismi della lavorazione della serie».
Ci saranno altre stagioni della fiction?
«Io spero di sì, ma naturalmente i produttori aspettano di vedere come sarà accolta questa prima stagione».
Come si sente ora che ha lasciato Che Dio ci aiuti? Ne aveva abbastanza della tonaca o è stata un’esigenza di copione?
«Io sono molto legata a suor Angela, ma ora che le mie figlie sono grandi avevo il bisogno di tornare al mio primo amore, il teatro, che mi dà la possibilità di alzare l’asticella, di mettermi alla prova, e nella mia carriera ho sempre avuto bisogno di cambiare. Ma sono contenta di aver lasciato il testimone a Francesca Chillemi, e non è detto che suor Angela in futuro non faccia qualche nuova apparizione».
Da qualche anno si è avvicinata al cattolicesimo. Ce ne vuole parlare?
«Il tema della fede è molto delicato. Io ho sempre avvertito l’esigenza di coltivare una dimensione spirituale, ma non trovavo la strada. Poi ho riscoperto la religione cattolica; non sempre pratico come vorrei, per esempio il lavoro a teatro a volte mi rende difficile partecipare alla Messa, ma chiudo ogni giornata con la preghiera. Il primo pensiero quando spengo la luce va a papa Francesco, poi alle persone care e a quelli che sono in difficoltà. Infine lascio uno spazietto anche per me».