Trent'anni sono passati dalla fine del regime dittatoriale e il ritorno alla democrazia. Tre decenni, un periodo ancora troppo breve per poter dire che le ferite sono guarite, che guardare indietro verso il passato non genera più angoscia. Lo scorso 17 maggio Jorge Videla, il dittatore argentino che ha tenuto in scacco il Paese dal 1976 al 1983, è morto in carcere. Ma le conseguenze delle sue azioni rimangono vive nella società. A partire dal problema dei 30mila desaparecidos e dei loro figli, i circa 500 bambini strappati alle loro madri, chiuse nei centri clandestini di detenzione, e dati illegalmente in adozione ad altre famiglie. A parlare di tutto questo è Carlos Cherniak, ministro plenipotenziario dell'Ambasciata argentina in Italia, esperto di diritti umani, che all'ottava edizione del festival Con-vivere di Carrara venerdì 6 settembre terrà una conferenza sugli anni del regime dittatoriale nel suo Paese. Nel corso dell'incontro verrà anche proiettato il documentario Nietos, historia con identidad, che ripercorre i capitoli più bui e dolorosi della storia argentina attraverso le testimonianze di chi li ha vissuti.
Per l'Argentina la dittatura rappresenta ancora un capitolo storico ancora aperto e particolarmente doloroso...
L'Argentina, come tanti altri Paesi, ha sofferto una tragedia, la dittatura. Ogni tragedia ha una parte simile per tutti i Paesi, un filone comune, che è la sofferenza dell'umanità vissuta. Poi, ogni tragedia ha una sua particolarità: noi abbiamo vissuto una dittatura di carattere civico-militare, che si è distinta per il gran numero di vittime e per la metodologia aberrante della repressione. Ogni società deve decidere cosa fare con la proria tragedia, è una scelta etico-politica. Qualche Nazione ha deciso di nasconderla sotto il tappeto, di dare un taglio al passato e pensare al futuro, dimenticando ciò che è accaduto. L'Argentina ha fatto una scelta diversa: ha deciso di intraprendere un percorso di ricerca della verità piena. Una decisione molto coraggiosa e anche rischiosa: conoscere la verità di una tragedia, le sue caratteristiche e conseguenze, porta alla necessità di giustizia. La risposta istituzionale del sistema giudiziario non è più evitabile. L'unica maniera di costruire una democrazia solida è avere memoria. Ma non si può avere memoria senza verità e giustizia. Dunque, verità, giustizia e memoria sono i tre capisaldi della costruzione di una democrazia solida e matura. I processi ai responsabili della dittatura e della repressione vanno avanti. Molto sono stati condannati, altri no, per insufficienza di prove. Bisogna ricordare che parliamo di una dittatura civico-militare, che ha coinvolto anche civili, imprenditori potenti, persone che cercarono di approfittare delle loro relazioni con il potere militare per i propri affari. Dietro al lavoro dei militari c'era il potere reale, che voleva portare avanti il progetto economico del regime, e per farlo serviva una metodologia repressiva, oltre al legame con il potere economico-finanziario internazionale, ad esempio con la P2.
Cosa può dire del ruolo della Chiesa argentina?
All'interno di una organizzazione complessa e importante come la Chiesa ci sono tante anime. In Argentina ci sono stati tantissimi preti, suore, vescovi che sono stati vittime della dittatura, che operavano al fianco della gente, nelle baraccopoli, in quelle periferie dove giustamente oggi papa Francesco esorta ad andare a lavorare e a impegnarsi, per servire i poveri. Poi, all'interno della Chiesa, c'erano figure più vicine al regime, per convinzione o per convenienza, e che non hanno fatto nulla per evitare la tragedia. Si parla quindi di complicità, in certi casi per omissione, in altri casi per azione concreta. Va ricordato che anche a livello internazionale molte organizzazioni sociali e religiose, non solo crisitiane ma anche di varie fedi, sono state fortemente solidali con le vittime della repressione in quegli anni.
Questo tema è tornato sotto i riflettori con l'elezione di papa Francesco.
Gli argentini sono molto felici dell'elezione di papa Bergoglio e dei messaggi che sta lanciando. Io personalmente non sono cattolico, ma penso che il Papa stia facendo dei gesti che sono importanti per tutti, credenti e non. Allo stesso tempo, lui proviene dalla Chiesa argentina, e per le vittime della dittatura la sua elezione rappresenta l'opportunità di riportare sotto i riflettori i problemi ancora aperti. Io ho avuto il privilegio di accompagnare Estela de Carlotto, la presidente delle Abuelas de Plaza de Mayo (le Nonne di Plaza de Mayo) a un'udienza pubblica con papa Francesco. Estela ha portato all'attezione del Pontefice la tragedia dei nipoti rubati dalla dittatura e dati in adozione illegale. Gli ha chiesto aiuto e la risposta del Papa è stata: "può contare su di me". Nella conferenza stampa successiva Estela ha dichiarato che in precedenza un altro Papa le aveva detto "io pregherò per voi". La frase di papa Francesco è ben diversa e Estela l'ha interpretata come un impegno concreto a fare qualcosa, pubblicamente o privatamente, per sostenere il percorso di verità. Dobbiamo capire che queste nonne oggi hanno più di 80 anni e stanno tentando di portare avanti la loro missione iniziata tanti anni fa. Parliamo di un problema che coinvolge quattro generazioni: le nonne, i desaparecidos, i loro figli, e i figli di molti di questi ultimi.
Quanti sono e dove si trovano i figli rubati?
Sono circa 500 bambini, che oggi hanno fra i 30 e 38 anni. Di loro finora ne sono stati ritrovati 109, il ritrovamento più recente è avvenuto lo scorso agosto, una ragazza che era stata adottata da una famiglia cilena. Il 90% dei ragazzi sono stati rintracciati in Argentina. Per il momento nessuno in Italia. Ma sappiamo che anche qui ce ne sono. La nostra ricerca, come Stato argentino, va avanti. In Italia vogliamo coinvolgere le istituzioni italiane nel nostro lavoro. Abbiamo il sostegno di molte organizzazioni e dei sindacati Cgil, Cisl e Uil. Anche il sistema universitario statale italiano diventerà socio di questa campagna e pure il presidente del Forum delle regioni italiane ha deciso di appoggiarci. Lanciamo un appello a tutti i ragazzi di origine argentina fra i 30 e i 38 anni che abbiano dubbi sulla loro identità a rivolgersi all'Ambasciata argentina a Roma.
Anche nel cinema argentino si avverte fortemente l'importanza della memoria. Il tema della dittatura ritorna in molti film.
Sì. Basti pensare che in ogni ex centro di detenzione oggi sono stati creati dei punti di memoria dove gli studenti vanno in visita guidata. L'Argentina sta lavorando per costruire una memoria attiva affinché il passato non si ripeta. Anche la Esma (Escuela superior de mecánica de la armada), rinomata come il più grande centro di detenzione illegale e tortura sotto il regime, è diventata un museo e le varie organizzazioni possono promuovere attività, dibattiti, eventi di arte, cinema, teatro sul tema dei diritti umani. Da luogo di morte è diventata un centro di vita.
Non crede che l'elezione di papa Francesco abbia anche il merito di avere aperto gli occhi dell'Europa su un continente, quello latinoamericano, per tanto tempo lasciato un po' in disparte?
Il livello di cambiamento dell'America latina è molto importante e fuori dal continente ancora non è stato compreso. Spesso si guarda a questa regione con una visione che è fuori dalla realtà, troppo limitata. Ciò che sta avvenendo in Sudamerica è un processo di costruzione di una identità regionale, con la coscienza che, ad esempio, un problema della Bolivia è anche un problema dell'Argentina o del Brasile. Noi vogliamo che la nostra gente possa mangiare, avere equità sociale, salute ed istruzione garantite, una società sviluppata e senza discriminazioni: questo è il nostro progetto identitario. Per il resto del mondo è arrivato il momento di guardare al nostro continente senza pregiudizi e con un approccio più serio e sofisticato. L'America latina sta vivendo una nuova tappa storica, che nessuno può più fermare.