Don Roman Hrydkovets
Il messaggio audio di don Roman Hrydkovets arriva da Chernihiv dopo due giorni di silenzio, con la voce forte e salda di sempre. «Non posso usare spesso il cellulare perché non abbiamo corrente elettrica quindi devo fare economia. Ma tutto bene, grazie a Dio». Chernihiv, cittadina di quasi 300mila abitanti – prima della guerra - a Nordest di Kiev, vicino al confine con la Bielorussia, è uno degli obiettivi più colpiti dai bombardamenti russi. Ai negoziati di Istanbul, Mosca ha annunciato una riduzione dell’attività militare nelle regioni di Kiev e di Chernihiv. Ma al momento gli attacchi missilistici continuano. E la situazione della popolazione è molto precaria, come testimonia don Roman.
«Abbiamo ancora il gas, ma nelle case non c’è più fornitura di acqua, così dobbiamo andare a prenderla nei pozzi in centro, con taniche e bottiglie, oppure nelle case private che hanno dei loro pozzi. L’energia elettrica viene fornita solo per qualche ora al giorno, perché le reti e i tralicci della luce sono stati bombardati. Quindi per buona parte del giorno siamo isolati a livello di comunicazioni e non abbiamo luce. Per il momento, e ancora per alcuni giorni, abbiamo da mangiare, che viene distribuito da tanti volontari. Per adesso non stiamo morendo di sete e di fame. Ma non so per quanto ancora potremo resistere e andare avanti così». La città, che sorge sulle rive del fiume Desna, adesso è isolata: il ponte sul fiume che collegava la città a Kiev è stato bombardato. Impossibile al momento entrare e uscire dalla città. Più della metà deggli abitanti è già scappata. Si calcola che oltre 200 civili siano stati uccisi dall'inizio dell'invasione. «Tanti abitanti che sono rimaati qui vorrebbero scappare, ma adesso non è più possibile». Intrappolati in una città vicina allo stremo.
Don Roman ha 28 anni, originario di Kiev, neosacerdote greco-cattolico, è stato ordinato il 14 ottobre del 2021. E l’8 dicembre è stato mandato a Chernihiv. Sua moglie e la figlia di 7 mesi (ricordiamo che i preti greco-cattolici possono essere sposati) sono andate via, ora si trovano al sicuro nella parte occidentale del Paese. «Mia moglie voleva restare con me, ma io le ho spinte ad andare via perché qui era troppo rischioso e duro per loro. Non so quando rivedrà mia figlia, per adesso riesco a vederla attraverso le foto che mia moglie mi manda ogni giorno. Lui, don Roman, da pastore ha scelto di restare, di continuare la sua missione di stare al fianco della gente, gli abitanti, i fedeli, che hanno bisogno di sostegno anche spirituale. Lui vive in un quartiere di periferia, che non è stato molto preso di mira. M il centro sì, sa che è stato devastato dalle bombe. I russi sono fuori dalla città, non si vedono, ma si sente il fragore dei bombardamenti continui, che non sono cessati».
E aggiunge: «Durante il giorno, quando c’è il sole, a gente esce per le strade, fino a quando non scatta la sirena dell’allarme e allora tutti scendono nei rifugi sotterranei. Quasi tutti dormono nei rifugi. Io ogni giorno mi reco in una cappella della città dove viene celebrata la messa. La sera, poi, scendo in un rifugio dove con i fedeli ci riuniamo per la preghiera: oltre a pregare, pronuncia sempre alcune parole di conforto per loro. Perché le persone hanno bisogno anche di questo, di parole e gesti di speranza».
(Foto Reuters in alto: Chernihiv devastata dalle bombe)