I dati parlano chiaro: nel solo 2011 la corruzione in Italia
si è mangiata 2,5 milioni di megawatt prodotti da fonti rinnovabili. In
pratica, il fabbisogno annuo di 800mila famiglie. Di che furto stiamo parlando?
900 milioni di euro di investimenti, un volume equivalente al reddito annuo di
27mila nuclei familiari. Certo, sia chiaro, non si tratta di un fenomeno solo
italiano ma di sicuro nel nostro Paese si registrano componenti se non altri
"peculiari": a livello
globale si stima che la corruzione pesi per circa il 5% del Pil mondiale, con
oltre 1 miliardo di dollari pagato in tangenti. Per le aziende questo significa
un aumento dei costi pari al 10%, mentre per i Paesi in via di sviluppo
l'acquisto di servizi da parte delle autorità pubbliche può subire incrementi
che toccano punte del 25%. In ambito europeo, la corruzione impatterebbe
sull'economia interna per circa 120 miliardi di euro all'anno, corrispondente
all'1% del Pil. Infine, in Italia, si attesterebbe intorno ai 60 miliardi di
euro e, nella realizzazione delle grandi opere, può arrivare a determinare un
aumento dei costi anche del 40%. Se consideriamo che nel nostro Paese il
settore delle rinnovabili nel 2011 ha visto, nonostante la crisi, una crescita
consistente degli investimenti per un valore complessivo di 24 miliardi di
euro. Se aggiungiamo che siamo al quarto posto nella speciale classifica dei
Paesi che sostengono maggiormente le rinnovabili dopo Germania, Cina e Usa. Se
è vero che, come dimostrano alcuni studi recenti, nella "fetta"
bisogna calcolare altri 6,3 miliardi di euro di incentivi, 5,9 miliardi dei
quali sono prelevati direttamente dalle bollette degli utenti per un totale di
circa 30 miliardi di euro all'anno. Alla luce di tutti questi "se" è
facile intuire come gli interessi in gioco abbiano aperto interessanti scenari,
doverosi in un'ottica di futuro sostenibile, ma pericolosi se non debitamente
regolamentati e monitorati. E il progetto Green clean market realizzato
dall'ong Transparency international Italia nell'ambito della Siemens
integrative initiative si inserisce in questo contesto proprio per cercare
risposte e porre obiettivi.
L'associazione che si è fatta
carico di questa ricerca è una delle più importanti realtà a livello mondiale a
battersi contro la corruzione: «Siamo presenti in oltre 90 Paesi con capitoli
nazionali - ha spiegato Maria Teresa Brassiolo, presidente di Transparency
Intenrational Italia - che seguono il piano strategico stabilito dalla sede
centrale di Berlino. La nostra mission è innanzitutto compiere azioni
preventive che coinvolgano direttamente tutti gli interlocutori possibili
sensibili al tema: Governi, società civile, media, aziende e istituzioni. In
pratica ci poniamo come motori del cambiamento». Per farlo, cioè per combattere
la corruzione, serve coraggio: il coraggio, innanzitutto, di cittadini che non
ci stanno a essere soggiogati da un sistema "malato". E proprio per
loro abbiamo predisposto, primi in Italia, un apparato di vicinanza fisica e
psicologica a coloro che si fanno avanti denunciando i reati di cui sono testimoni,
spesso anche con un ruolo "attivo". «Posso affermare con orgoglio che
Transparency ha influito moltissimo nel cambiamento a livello emozionale e a
livello di commitment sul tema della corruzione: 20 anni fa in Banca mondiale,
come ci confermano due dei fondatori della nostra ong che al tempo vi
lavoravano, non si poteva neanche pronunciare la parola "corruzione"
ma ci si nascondeva dietro un enigmatico "fattore c". Da quando hanno
fatto questa scelta, cioè lasciare i loro comodi posti alla Banca mondiale, c'è
stato un vero e proprio salto epocale nella concezione della corruzione e nella
conoscenza dei meccanismi che la ispirano e in qualche modo regolano».
Questo salto consiste esattamente
nella diffusione dell'idea che la corruzione non è un fenomeno che arricchisce
pochi e danneggia alcuni ma significa soprattutto una perdita in termini
economici e una sconfitta a livello di credibilità per tutti. L'immagine di un
Paese passa anche da qui con la conseguenza che chi si presenta all'esterno
come poco trasparente più difficilmente sarà capace di attrarre investimenti.
«Per non parlare dei modelli educativi che escono segnati in modo profondamente
negativo da un sistema corrotto che depaupera l'intera comunità di quelle
risorse di cui avrebbe così bisogno per svilupparsi». E ancora: «Ricordo di
aver letto qualche tempo fa un libro apparso come una meteora negli Usa, si
intitolava "Green is gold": mi aveva impressionato perché, di fatto,
presentava il mercato delle rinnovabili come un nuovo El Dorado in cui era
raccomandabile investire immediatamente perché ancora senza regole e, dunque,
facile terra di conquista per i primi che vi si fossero buttati». In effetti si
trattava e si tratta ancora oggi di un mercato innovativo, promettente, che da
quando è nato ha attivato forti incentivi un po' ovunque e in particolare in
Italia ma sprovvisto del benché minimo inquadramento normativo di riferimento.
«L'idea iniziale di questa ricerca era effettuare uno studio su tutto il
fenomeno della green economy così che potesse essere protetta da forme
degenerative, evidenziando le criticità e facendo risaltare le best practices,
proponendo anche soluzioni concrete per contrastare le bolle speculative. In
realtà ci siamo resi conto che sarebbe stato meglio limitare i confini dello studio
alle energie rinnovabili e alla mobilità connessa».
La ricerca, nello specifico, è
stata condotta in prima persona da Lorenzo Segato: «Siamo consapevoli delle
potenzialità della green economy e dello spicchio relativo alle energie
rinnovabili di cui ci siamo occupati nello specifico e per questo non vogliamo
fare allarmismi ma, essendo ancora un mercato in divenire, va protetto e
curato. Nel nostro studio abbiamo deciso di concentrarci su eolico e
fotovoltaico, cioè i settori che in Italia hanno raggiunto un maggior grado di
"maturità" sotto molteplici punti di vista, con una finestra sempre
aperta sulle biomasse e sul tema dell'efficienza energetica i cui i meccanismi
di controllo sono ancora più complicati». Una maturità che si estrinseca nella
consapevolezza che gli attori in campo in questo settore, siano essi legali o
illegali, sono innanzitutto soggetti razionali, cioè persone che hanno
competenze e risorse e sono capaci di analizzare i punti deboli di un sistema e
organizzarsi per sfruttarli. Un settore come quello della green economy,
caratterizzato da consistenti flussi di denaro e poca esperienza, era scontato
che accendesse l'interesse da parte di soggetti criminali, dotati di capacità e
velocità di adattamento al contesto fuori dal comune e comunque superiori alle
altre imprese per il semplice motivo che non devono sottostare a tutta a regole
e controlli. «Per schematizzare l'approccio della nostra ricerca possiamo fare
riferimento alla teoria delle opportunità che coglie il verificarsi di un reato
nella concomitanza di tre fattispecie: la disponibilità di un soggetto a
barare, la presenza di qualcosa di interessante per cui vale la pena commettere
un reato, l'inefficacia dei sistemi di controllo che proteggono il bene in
oggetto. È così che siamo partiti con l'individuazione e la catalogazione degli
"offenders", cioè dei soggetti che alterano, truccano il mercato
della green economy».
I numerosi studi effettuati
finora si sono infatti concentrati esclusivamente sulla criminalità
organizzata, dunque mafia, camorra, 'ndrangheta, sacra corona unita operanti in
modo più consistente nelle regioni del Sud Italia e impegnate prevalentemente
nel settore eolico. Quest'ultimo è infatti quello che si presta più facilmente
alla commissione di reati perché ha una tipologia di utilizzo del territorio
interessante nel senso che gli impianti occupano appezzamenti di terreno
relativamente piccoli e può essere decisivo realizzare un impianto in un campo
piuttosto che in un altro e perché ha bisogno di essere supportato da numerose
attività collaterali che sono gestite da aziende a bassa specializzazione e
alta manovalanza, cioè il contesto ideale in cui il crimine organizzato
prolifera. «Analizzando questi studi ci sembrava mancasse un pezzo: non è
infatti soltanto il crimine organizzato a essersi interessato a questa nuova
frontiera ma si sono sviluppate diverse tipologie di attori che ci è sembrato
opportuno identificare. Da un lato quelli che abbiamo chiamato
"imprenditori eco-criminali", quindi una serie di soggetti costituiti
ad hoc per approfittare delle opportunità di questo settore spesso attraverso
sistemi di scatole cinesi». Si tratta di realtà facili da costituire ma molto
difficili da rintracciare che però truffano con regolarità Stato, Regioni,
Comuni. Un'altra tipologia catalogata è quella della criminalità micro
aziendale, cioè «il fenomeno di aziende che sono sono state costrette a giocare
a questa competizione magari violando qualche regola non spinte da un preciso
intento criminale ma perché altrimenti non avrebbero potuto lavorare».
Ovviamente c'è poi un'ampia fetta di mercato in mano alla criminalità
organizzata transnazionale: si tratta di ingenti flussi di denaro, puliti o
sporchi, che attraverso il sistema degli incentivi statali e delle agevolazioni
fiscali nel nostro Paese hanno trovato un'ottima occasione di riciclaggio, la
cosiddetta "lavanderia", che comporta il reinserimento di soldi
illegali in circuiti legali. Per intenderci, non tutti i soggetti che si sono
mossi illegalmente nel circuito della green economy provengono dalla
criminalità organizzata tradizionale.
Dall'altra parte c'è tutto il
mondo di politici e funzionari della pubblica amministrazione che si sono
prestati a questo genere di traffici: perché ci sia corruzione, è bene ricordarlo,
serve un accordo tra due parti. Partendo da scelte politiche che hanno
orientato il mercato, anche locale, in una direzione piuttosto che in un'altra,
pubblicando bandi che, per come erano strutturati, portavano in una direzione
unica e univoca, o accettando, per esempio, l'installazione di impianti in
cambio di lunghe liste di "desiderata", c'è una classe di
rappresentanti istituzionali che non si sono certo distinti per onestà. Per non
parlare di pratiche portate avanti a velocità diverse, alcune velocissime altre
immobili per anni, e concessioni "curiose" su siti archeologici. Il
terzo attore di questo scenario è quel mondo di professionisti, notai,
commercialisti, intermediari finanziari che si sono prestati a fenomeni di
corruzione per spingersi là dove organizzazioni più grosse, anche per scarsa
conoscenza del territorio, non sarebbero mai potute arrivare. Sul versante dei
"guardiani", cioè di chi avrebbe dovuto vigilare sulla regolarità di
queste operazioni, il discorso si amplia ulteriormente perché l'origine del
malfunzionamento sta innanzitutto nell'aver posto obiettivi ambiziosi senza un
adeguato supporto di politiche e di regole. «È mancata un regia di livello
alto. Ovviamente non stiamo dicendo che questo comportamento ha causato la
corruzione ma ha sicuramente rappresentato un elemento di debolezza che chi
voleva sfruttare pratiche illegali è riuscito a ribaltare a proprio favore.
L'unica regola, d'altronde, era quella degli investimenti: come ci hanno
confermato molti degli esperti di green economy interpellati, questo settore è
nato inizialmente per ragioni prettamente speculative».
Va detto che anche gli strumenti d'indagine a disposizione
sono francamente scarsi e inefficaci e impediscono alla magistratura, che pure
sa quello che accade, di arrivare con tempismo a bloccare i capitali: per
appurare casi di corruzione si passa quasi esclusivamente dalla rilevazione
dell'abuso d'ufficio. «A nostro avviso è anche mancato anche il sistema delle
imprese: troppo spesso abbiamo parlato con aziende disposte a tutto che hanno
vissuto il silenzio delle associazioni di categoria». Ma cosa ci attende
all'orizzonte? «Il primo e più urgente problema è la sottrazione di fondi: la
Corte dei conti segnala che la gran parte di quelli destinati alle energie
nella regioni della convergenza non è ancora stata allocata. La corsa per
accaparrarseli deve essere monitorata. Bisogna anche fare in modo che questi fondi
rimangano in Italia, cioè siano impiegati per opere realmente utili alle
comunità del nostro Paese». In caso contrario si va incontro a un continuum di reati a cascata. Caso esemplare è quello della bonifica dei siti:
sono stati documentati casi in cui la criminalità organizzata prima fa una
discarica abusiva, poi la copre e partecipa, vincendola, alla gara d'appalto
per la bonifica. Alla fine, immancabile, ci costruisce sopra l'impianto di
energie rinnovabili. Su uno stesso sito, in pratica, guadagna tre volte.