Anticpiamo l'intervento che Francesco Occhetta, gesuita, collaboratore della rivista Civiltà Cattolica, consulente dell’Unione Stampa, esperto di diritto e di questioni sociali, terrà a Carrara domenica 10 settembre nell'ambito del Festival "Con-vivere" (in programma dal 7 al 10 settembre). Il tema della relazione del gesuita è: “Chi è il mio prossimo”, applicata a suo volta al tema della manifestazione, le Reti.
1. La Rete è come una “soglia” sulla quale si affaccia la vita degli uomini. È l’immagine della vita, che per sua natura cerca frontiere per espandersi - fino anche ad andare oltre la propria corporeità - per incontrare e relazionarsi, conoscere e auto-comprendersi meglio. La pro-vocazione di abitare questa nuova soglia della vita relazionale va paragonata a una linea: per alcuni è “una fine” da cui difendersi, per altri è “il fine” a cui tendere, per altri ancora è un “con-fine” da abitare umanamente. In Rete è “occasione” tutto ciò che apre verso la conoscenza, lo sviluppo, la relazione e un’idea solidale di comunicazione. È “tentazione”, invece, scegliere modelli per entrare in relazione con l’altro chiusi e autoreferenziali.
Per costruire relazioni autentiche, il “che cosa comunicare” non può più prescindere dal “come” comunicare e dal “per chi” farlo. Tuttavia la vita connessa può generare errori, imprecisioni e sull’attendibilità delle fonti; l’istantaneità dell’informazione limita la capacità di contestualizzare, ricordare, analizzare e confrontare le notizie tra loro; l’immersione della vita in Rete sta abituando a far pensare vero ciò che emoziona, al punto che l’informazione, enfatizzando con il suo linguaggio il pathos (colpire le emozioni dell’ascoltatore) ignora il logos (educare a ragionare). Di qui il ruolo dell’educare e dell’auto-educarci, che è quello di far crescere, educere.
2. In Rete si vive comunione o fazione; incontro o scontro; il bene e il male (a livello morale), sia a livello personale sia a livello politico. È in mezzo alla valanga di dati e nella chiusura nei social network in gruppi in cui tutti la pensavo allo stesso modo che attecchisce la cultura della post-verità nell’opinione pubblica. Lontana dai fatti. Nutrita da emozioni e da credenze. Con un fine chiaro: alimentare le paure e consolidare le identità. È il linguaggio utilizzato dai populismi in cui l’idea (astratta), una sorta di “spirito puro” di matrice hegeliana, è superiore a qualsiasi fatto (concreto). Insomma siamo immersi in una cultura che istiga alla violenza (hate speech), “iniettare” sospetto sui fatti, inventare le bufale (fake news). Il siero per contrastarle sono anzitutto la testimonianza e, solo dopo, alle relazioni che umanizzano. Quelle che difendono la vita, rispettino il dolore, costruiscano bene comune.
Ci chiederemo inoltre: i neo populismi europei sono la conseguenza di cosa la vita politica può produrre grazie alla Rete. Sarebbe ingenuo pensare che i populismi siano forze di opposizione o semplicemente movimenti antipolitici, una sorta di parafulmini su cui si scarica la rabbia della società. Certo, alcuni movimenti si sono rivelati come forze antisistema e antidemocratiche. Altri, invece, un’alternativa alle forze di governo. Tutti, però, sono accomunati da una serie di caratteristiche che ne rappresentano una sorta di minimo comune denominatore. Tra queste, la principale è quella di considerare il pluralismo come un disvalore… Allo stesso modo del principio pluralista sono considerate le libertà: i populisti non le negano, tendono a esaltarle nei discorsi, ma a comprimerle nei fatti. E poi la Rete aiuta a disintermediare e a fare credere che al di sopra della legge si trovi il leader con le sue regole e i suoi slogan.
3. Infine approfondiremo la domanda biblica: “Chi è il mio prossimo?”. La cultura del terzo millennio ha fatto morire il prossimo, come ha scritto Zoia, ma il cittadino occidentale cerca disperatamente il lontano in Rete per non sentirsi isolato e solo. Si vuole distante il vicino e vicinissimo il lontano. Dalla Scrittura invece il prossimo è chi ti è vicino, con quel volto che supera e spezza ogni categoria (il povero, il malato, l’immigrato ecc.). È solamente chi esce da sé che vive un movimento verso chi sa riconoscere all’interno del suo orizzonte di vita.
Francesco Occhetta
NOTA BIOGRAFICA
Francesco Occhetta, gesuita, fa parte della redazione della rivista La Civiltà Cattolica. Dopo la laurea in giurisprudenza, ha conseguito la licenza in teologia morale a Madrid e il dottorato presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma. È specializzato in diritti umani all’Università degli Studi di Padova. Ha completato la sua formazione a Santiago del Cile. Giornalista pubblicista dal 2002 e professionista dal 2010, è consulente spirituale dell’Unione cattolica stampa italiana (Ucsi). Tra le sue pubblicazioni: Le radici della democrazia. I princìpi della Costituzione nel dibattito tra gesuiti e costituenti cattolici (2012); Le tre soglie del giornalismo: servizio pubblico, deontologia, professione (2015). È autore del blog L’umano nella città.