Ci sono voluti mesi e l’ostinazione di chi si sente nel giusto. La piccola Ong tedesca Iugend Rettet, d’altra parte, è nata da una scommessa che appariva impossibile per quel gruppo di ragazzi berlinesi ventenni: andarsene in mare a salvare migranti. Salvarne il più possibile, sfidando acque, maltempo e possibili brutti incontri con trafficanti e milizia libiche. Mai si sarebbero aspettati che a fermarli fosse stata una autorità italiana, il Paese dove portavano i rifugiati salvati in mare.
Il sequestro della loro nave il 2 agosto dello scorso anno ha di fatto bloccato i giovanissimi volontari. Bloccato, non fermato. Con metodo e forza di volontà da quel giorno hanno un solo obiettivo: riprendere il mare con la Iuventa. Quando scattò il provvedimento della Procura di Trapani le parole dei magistrati furono sottolineate da buona parte della stampa: accusati di favoreggiamento della migrazione clandestina, ma con motivazioni umanitarie.
Ora quelle certezze mostrano ampie crepe, grazie a un lavoro di analisi forense della Forensic Architecture agency dell’Università di Londra, diretta da Eyal Weizman, che vede la partecipazione tra gli altri del ricercatore italiano Lorenzo Pezzani.
Qui e in copertina: la nave Iuventa, messa in mare dalla Ong tedesca Jugend Rettet (che significa "ragazzi in mare") per la ricerca e il soccorso dei migranti nel Mediterraneo.
Perché è stata sequestrata la Iuventa? Famiglia Cristiana ha seguito da vicino con cronache e inchieste l’intera vicenda, quel Caos Mediterraneo della scorsa estate. Trame diverse che convergevano verso un unico obiettivo, fermare le Ong. Il codice di condotta di Minniti, la missione dell’ultra destra di Defend Europe, l’ombra di sospetto creata prima da Frontex e poi dalle parole del procuratore di Catania Zuccaro.
Nel frattempo, la nave di Iugend Rettet era sotto il mirino degli investigatori da tempo, almeno dall’ottobre 2016. I primi ad agire furono i dipendenti dell’agenzia Imi security service, impresa contrattata dall’armatore della nave di Save the Children Vos Hestia. Già dopo pochi giorni di navigazione i dipendenti della Imi scrivono contemporaneamente alla politica (il movimento 5 stelle, che non risponde, e Matteo Salvini, che invece con entusiasmo abbraccia la causa, come ha ricostruito e documentato il Fatto quotidiano) e all’Aise, i servizi segreti esteri, segnalando quelli che a loro dire erano comportamenti sospetti della nave Iuventa.
Infine, si rivolgono alla Polizia di Stato di Trapani, facendo partire l’inchiesta. La Procura, nel maggio scorso, decide di mandare un agente sotto copertura a bordo della nave di Save the Children, con l’obiettivo di monitorare la Iuventa. Armato di macchina fotografica l’agente dello Sco documenta alcuni episodi che vengono interpretati come la prova del contatto con gli scafisti della Ong tedesca con i gruppi di trafficanti. Quando il 2 agosto la Iuventa viene fermata a Lampedusa sui giornali appaiono le foto dell’agente undercover con le prove: ecco le Ong che restituiscono i barchini usati per la traversata ai trafficanti libici, ecco i giovani della Iugend Rettet che parlano con gli scafisti. Prove, all’apparenza, pesanti.
Un gommone di miganti alla deriva.
Storia finita, dunque? Assolutamente no. Il caso vuole che gli episodi contestati dai magistrati siano ampiamente documentati anche da fonti indipendenti. Non abbiamo, dunque, solo le fotografie scattate dall’agente dello Sco. A bordo della Vos Hestia (la stessa nave, nello stesso momento, da dove operavano i dipendenti della Imi e l’agente dello Sco) c’era anche un giornalista della Reuters che ha filmato buona parte della scena. Ci sono poi le fotografie scattate dall’equipaggio della Iuventa; e ci sono, infine, i video girati dalle telecamere collocate sui caschi delle equipe di salvataggio.
Tutto questo materiale è alla base di un lavoro di analisi forense in corso presso l’Università di Londra, dove il gruppo di ricercatori si è specializzato nella ricostruzione di scenari in alto mare, legati soprattutto al tema dei migranti. Ogni immagine digitale possiede una serie di dati preziosi: tempo esatto dell’evento ripreso, apertura dell’obiettivo e altre informazioni.
È dunque possibile ricostruire dettagliatamente una linea del tempo di un determinato evento. La geolocalizzazione è poi un secondo strumento prezioso per l’analisi di un fatto. Determinare con precisione il luogo, come vedremo, può essere la chiave per capire quello che veramente è accaduto. E le sorprese, in effetti, non mancano (ecco il link al video, in inglese, che presenta il lavoro di analisi svolto finora dai ricercatori di Londra).
La Procura di Trapani, titolare dell’indagine sulla Iuventa, contesta tra le altre cose un’operazione di salvataggio del 18 giugno dello scorso anno. Scriveva il Gip nel decreto di sequestro preventivo della Iuventa: “Alle ore 6.15 del 18 giugno 2017 (...) si trovavano 3 barconi di legno con migranti partiti dalle coste libiche, una motovedetta della Guardia costiera libica, un barchino con alcuni trafficanti e la motonave Iuventa, con due gommoni di supporto. All’inizio dell’osservazione l’undercover (l'agente sotto copertura, ndr) ha avuto modo di osservare che la motovedetta della Guardia costiera libica e il barchino dei presunti trafficanti si sono allontanati dallo scenario, dirigendosi verso le coste libiche. Successivamente sono iniziate le attività di recupero dei migranti”.
La ricostruzione realizzata analizzando i filmati in sequenza temporale mostra una realtà diversa. Nelle prime immagini dell’azione si vede sull’orizzonte la motovedetta libica. Dopo l’intervento del gommone della Iuventa, la Guardia costiera si muove verso lo scafo utilizzato dai rifugiati; nelle immagini successive lo stesso scafo, vuoto, appare senza il motore. È dunque probabile che la motovedetta libica lo abbia prelevato per poi allontanarsi.
La contestazione mossa alla Iugend Rettet per questo salvataggio riguarda la mancata distruzione delle barche utilizzate dai migranti, per impedirne il riutilizzo da parte dei trafficanti. Basandosi sull’informativa dello Sco, il Gip di Trapani scrive: “Due barconi in legno sono stati legati tra loro con una cima e gli operatori che si trovavano a bordo del Rhib (gommone di salvataggio) della Iuventa li hanno trainati verso le coste libiche”. Azione interpretata come un favoreggiamento delle organizzazioni criminali. I fatti, anche in questo caso, appaiono differenti. L’analisi forense ha calcolato la direzione dei barchini trainati dal gommone della Iuventa basandosi sulla direzione del vento, registrata nei bollettini meteo di quel giorno. In realtà gli scafi vuoti vengono portati in direzione Nord est, verso la Iuventa, in senso opposto rispetto alla costa libica. Dal diario di bordo della nave dell’Ong tedesca si legge che subito dopo aver legato le barche vuote l’equipaggio avvista un gommone in forte difficoltà. I gommoni di salvataggio della nave lasciano a quel punto gli scafi, per intervenire in soccorso dei migranti, in una situazione ad alto rischio. La mancata distruzione degli scafi vuoti, dunque, era dovuta a una emergenza e non sono stati mai trasportati verso la Libia.
Il lavoro di analisi forense è solo all’inizio. Prima dell’udienza della Corte di Cassazione, prevista per fine aprile, che dovrà decidere sul ricorso contro il sequestro della nave, il team dell’Università di Londra rilascerà l’intero studio. Vi saranno altre sorprese?