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sabato 07 settembre 2024
 
presidenziali
 

Elezioni in Uganda: la sfida tra il vecchio patriarca e il rapper

15/01/2021  Al potere da 35 anni, il presidente ugandese Yoweri Museveni aspira a un sesto mandato (e risulta già in testa). Il suo sfidante, Bobi Wine, un giovane cantante che ha la metà dei suoi anni, infiamma i giovani e interpreta il crescente malcontento della popolazione

Bobi Wine durante un comizio. In copertina, i due sfidanti: il Presidente uscente Yoweri Museveni e lo stesso Wine.
Bobi Wine durante un comizio. In copertina, i due sfidanti: il Presidente uscente Yoweri Museveni e lo stesso Wine.

“Trent’anni fa, una promettente voce africana affermò che ‘il problema dell’Africa in generale, e dell’Uganda in particolare, non è la gente ma sono i leader che vogliono restare troppo a lungo al potere’”. Chi lo disse? Yoweri Museveni, il presidente che da 35 anni è alla guida della stessa Uganda. Già, proprio lui. Uno degli ormai rari “dinosauri” africani, uno dei più longevi presidenti nel Continente nero.

Forse punta al primato, dato che l’Uganda, che ha votato ieri 14 gennaio per le elezioni presidenziali e legislative, lo ha visto candidato per la sesta volta. In queste elezioni del 2021, l’ormai vecchio patriarca si è trovato a fronteggiare uno sfidante che forse per lui è spiazzante: Robert Kyagulanyi Ssentamu, in arte col nome molto più semplice di Bobi Wine, musicista e cantante rapper popolarissimo fra i giovani. Uno sfidante che ha esattamente la metà dei suoi anni (38 di Wine contro i 76 di Museveni).

Museveni insieme all'ex presidente francese François Hollande.
Museveni insieme all'ex presidente francese François Hollande.

In questi giorni c'è lo spoglio (nei Paesi africani avviene in tempi piuttosto lunghi rispetto agli standard europei), il cui esito si sa già avere non poche ombre, al punto che né l’Unione europea né gli Stati Uniti hanno mandato osservatori a delle elezioni che nemmeno nelle premesse rispettano gli standard democratici. Attualmente Museveni risulta in testa, ma Wine ha denunciato brogli elettorali e si dichiara vincitore.

L’Uganda è arrivata al voto in un clima di alta tensione, dopo una campagna elettorale costellata di uccisioni di oppositori del Presidente e di seguaci di Bobi Wine, arresti di massa (e due nei confronti dello stesso giovane leader), intimidazioni e violenze diffuse, il blocco dei social network voluto dal Presidente uscente a due giorni dal voto.

Brutta storia, insomma, specie in un Paese che non ha mai avuto finora un solo passaggio di potere avvenuto pacificamente.

Museveni è salito al potere nel 1986, con un’azione militare: all’epoca ebbe il merito di liberare l’Uganda dalla feroce dittatura di Idi Amin Dada e di sconfiggere Milton Obote. La sua ascesa al potere fu salutata con grandi speranze: giovane Capo di Stato, illuminato, capace, nei primi anni, di grandi riforme. Poi, nel tempo, com’è accaduto a diversi altri leader africani, la sua leadership si è via via offuscata fino a diventare una sorta di dittatura mascherata.

Dittatura, però, tollerata dalla comunità internazionale per via del successo con cui Museveni ha sconfitto i sanguinari ribelli nella ventennale guerra civile del Lord Resistence Army – guidati dal pazzo visionario Joseph Kony – riportando la pace nel Paese, per la relativa crescita economica che l’Uganda ha avuto sotto il suo governo, per la battaglia portata avanti nei confronti dell’Hiv. E soprattutto perché agli occhi degli occidentali ha fatto dello Stato africano una delle realtà più stabili e affidabili del Continente, anche nella lotta al terrorismo estremista islamico.

Tuttavia, qualche volta il potere logora anche chi ce l’ha, parafrasando una nota massima del nostro Giulio Andreotti, e questo sicuramente è toccato a Museveni: in questi ultimi anni è cresciuto il malcontento, l’insofferenza per una leadership immutabile e sempre più autocratica, le disparità sociali, le rivendicazioni politiche nei confronti di un sempre più evidente deficit democratico.

E così arrivò Bobi Wine. Entrato in politica da poco più di tre anni, ha vinto a mani basse un seggio in Parlamento nel 2017. E già da un paio d’anni ha annunciato che avrebbe corso per la presidenza. La popolarità ottenuta fra i giovani ugandesi con la musica l’ha riversata in politica, e in un Paese dove l’80% della popolazione ha meno di 30 anni è facile immaginare quanto la sua ascesa sia pericolosa per il vecchio e usurato Presidente in carica.

D’altro canto, il trentottenne candidato ha le carte in regola: nato in uno slum della capitale Kampala, si è guadagnato quasi subito l’appellativo di “Presidente del ghetto”, e prima dei suoi discorsi pubblici già le sue canzoni infiammavano la fascia giovanile della popolazione con i testi spesso focalizzati sulla disoccupazione, i problemi della vita in baraccopoli, la denuncia delle violenze e degli abusi, la protesta contro la repressione politica.

I candidati sono 11, ma la vera lotta è fra loro due: Wine e Museveni. Le sorti sono in mano a poco più di 18 milioni di elettori (tanti sono gli aventi diritto registrati al voto in Uganda).

Il giorno del voto, a Kampala.
Il giorno del voto, a Kampala.

C’è molta preoccupazione, dentro e fuori i confini ugandesi. Yoweri Museveni risulta essere il vincitore, ma Bobi Wine ha già denunciato brogli. Se alla fine dovesse uscire una maggioranza di consenso per Bobi Wine non è detto che l’anziano Capo di Stato lascerebbe la presidenza in modo pacifico. E comunque vada, qual è la posizione del potente (per gli standard africani) esercito ugandese? Nella storia di questo Paese i golpe non mancano e il pugno di ferro della repressione nemmeno.

Questione di poco, ormai. Di una cosa sono convinti gli osservatori: chiunque vinca, la comunità internazionale avrà nulle o blande reazioni, perché ormai sembra valere la regola, per l’Africa, che l’importante è che si voti e che le leadership di governo garantiscano stabilità. Per il resto, basta turarsi il naso sul rispetto delle regole e dei processi democratici.

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Il voto in Uganda e l'utopia di Bobi Wine, il cantante che chiede al Paese un cambio di rotta
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