La celebrazione del 60° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II rappresenta un invito a riflettere sull’importanza e l’attualità del suo insegnamento, come bussola per il cammino della Chiesa odierna. Per papa Francesco, infatti, le quattro principali Costituzioni conciliari, come scrive nella lettera indirizzata a monsignor Rino Fisichella per il Giubileo 2025, «continueranno ad orientare e guidare il popolo santo di Dio, affinché progredisca nella missione di portare a tutti il gioioso annuncio del Vangelo».
Animato da questa convinzione Bergoglio, primo Papa a non aver preso parte alla grande assise ecumenica, ha voluto fare memoria di quell’11 ottobre 1962, quando l’anziano papa Giovanni XXIII, da molti considerato un Papa di transizione, alla presenza di circa duemila cinquecento vescovi di tutto il mondo, aprì in Vaticano la più grande Assemblea conciliare chiamata a interrogarsi sulla Chiesa, sul suo rapporto con il mondo e la modernità. Per comprendere le finalità, lo spirito del Vaticano II e rilevare una certa continuità fra l’insegnamento di papa Francesco e di Papa Roncalli, occorre partire dal Discorso “Gaudet Mater Ecclesia” che San Giovanni XXIII tenne all’apertura della prima sessione conciliare. Un’esortazione introdotta dall’invito a rallegrarsi per il dono del Concilio e a dissentire “da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo”.
Ciò che più di tutto interessa al Vaticano II, secondo l’intuizione originaria del Papa Buono, «è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace». Non si tratta di alterare o modificare il contenuto della dottrina, ma di custodirlo ripensando come comunicarlo all’uomo del nostro tempo, in modo comprensibile e credibile. La Chiesa, infatti, si trovò ad annunciare il Vangelo di Cristo in un contesto sociale e culturale profondamente mutato. Affinché si realizzasse il tanto auspicato “aggiornamento”, termine tecnico usato da Papa Giovanni XXIII per indicare il rinnovamento desiderato per tutta la Chiesa, il Concilio non intese rompere con la tradizione ma cercò di trovare nuovi modi per esprimere la novità dell’annuncio del Vangelo. Rispetto ai Concili precedenti che denunciarono eresie e condannarono errori, per Giovanni XXIII la Chiesa, vista sempre più come la Sposa innamorata di Cristo, mediante i lavori del Vaticano II cambia approccio: «preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore». A un atteggiamento di severità e di rigidità, preferisce la tenerezza di una Chiesa dal volto materno, con uno stile inclusivo, accogliente e non giudicante. Essa non appare più rinchiusa in sé e arroccata come in una fortezza fatta di leggi e dogmi, per difendere se stessa e le sue posizioni, ma si apre e non solo dialoga, ma si mette in ascolto degli uomini e delle donne del suo tempo.
Per accogliere l’insegnamento del Vaticano II ancora oggi, è necessario non solo conoscere e recepire il suo insegnamento ma vivere il suo messaggio di carità seguendo l’intuizione di Paolo VI: “l’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio”. La Chiesa misericordiosa nata dal Concilio Vaticano II, infatti, sull’esempio di Cristo Buon Samaritano, si ferma, si inchina e si prende cura del suo prossimo ferito e abbondonato che incontra lungo il cammino della vita.
Don Walter Insero