Il 13 giugno di dieci anni fa nella parrocchia di Santa Francesca Romana all’Ardeatino centinaia e centinaia di donne, uomini e bambini scandivano il tempo del brano Amore mio con le mani e celebravano la vita unendosi alla voce di Enrico Petrillo, nel giorno del funerale della moglie Chiara Corbella.
Già da quei primi attimi, dalle lacrime di amici e parenti, da una chiesa gremita a dismisura, dalla presenza di decine di sacerdoti e del vicario del Papa per la città di Roma, il cardinale Agostino Vallini, si intuiva che quella ventottenne mamma romana, scomparsa prematuramente a causa di un carcinoma alla lingua, avrebbe fatto parlare di sé. Mai si sarebbe immaginato, però, che la sua fama di santità arrivasse in pochi anni in ogni angolo del mondo – come testimonia Siamo nati e non moriremo mai più, la biografia di Chiara Corbella tradotta in 13 lingue – e che la Chiesa decidesse di avviare la sua causa di beatificazione dopo soli sette anni dalla morte, il 21 settembre 2019.
Romano Gambalunga, il postulatore che ne ha introdotto la fase diocesana, ci aiuta a comprendere le ragioni per cui l’esempio di questa giovane mamma attira credenti e non. «Chiara è una santa dei nostri tempi. Un modello di virtù, se vogliamo Chi l’ha conosciuta parla di una ragazza solare, con tante passioni, la musica, i viaggi, che ha vissuto in pienezza il suo fidanzamento prima e il matrimonio e la maternità poi. Una pienezza data dalla sua capacità di credere al Vangelo fino in fondo e nonostante tutto», dice. «Innanzitutto rifiuta le cure chemioterapiche per il bene del figlio Francesco che portava in grembo.
Perché in questa scelta, prima che coraggio, c’è la fede nei confronti di un Padre che provvede a ogni nostro bisogno. E poi penso al modo in cui lei ha dato alla luce Maria Grazia Letizia e Davide Giovanni, i primi due figli che mise al mondo e che morirono entrambi poco dopo il parto perché colpiti da gravi malformazioni». «Queste nascite, che viste da fuori sono solamente drammatiche, Enrico e Chiara le vivono con una pace che può venire solo da Dio», continua Gambalunga. «Chiara è consapevole che la vita è un dono di Dio, che essere genitori significa che ti sono affidati dei figli per un tempo che non decidiamo noi, affinché tu li custodisca per il Cielo. Hanno vissuto le due gravidanze, come loro stessi hanno raccontato, da custodi e con l’aiuto della Vergine Maria hanno gustato attimi di vita eterna, certi nel cuore che quei figli assaporano già la gloria celeste».
Il legame con la Madonna per lei aveva radici lontane: «Era figlio della fede della sua famiglia. Da bambina e poi da ragazzina Chiara si ritaglia quotidianamente un tempo per pregare e colloquiare con Gesù e Maria. Con la Madonna ha un’intimità particolare, spesso la disegna su dei fogli bianchi. Certamente questo è frutto di ciò che respira in casa ma anche della sua sensibilità profonda che la invoglia a guardare a Lei, a raccontare a Lei le cose, a rimanere in ascolto. Tutto ciò crea in Chiara un’attitudine mariana, la allena cioè a fare la volontà di Dio, a leggere in profondità gli avvenimenti della propria storia, ad accogliere e accettare la stessa, anche quando non la si comprende fino in fondo».
L’eredità spirituale che ci lascia la Corbella? Risponde Gambalunga: «Chiara testimonia che la vita è un’avventura meravigliosa, se vivi fidandoti di Dio, se credi che Lui sia un Padre che adesso, come ieri e domani, si prende cura di te, se ti fidi dei suoi disegni, anche se non sono quelli che avevi in mente tu, anche se a un tratto ti trovi a percorrere strade tortuose. Il messaggio di Chiara è contenuto tra le righe che scrive a suo figlio Francesco: Vale la pena fidarsi di Dio»