(Foto Ansa: Cristiana Capotondi nel ruolo di Chiara Lubich nel film diretto da Giacomo Campiotti)
«Uno dei mali della nostra società è che siamo troppo concentrati sul nostro piccolo mondo e non sappiamo guardare fuori con uno sguardo che comprenda tutti. Su questo mi sento molto vicina al pensiero di Chiara Lubich, una donna che anche oggi avrebbe moltissimo da dire a tutti noi, credenti e laici». Una citazione non casuale quella di Cristiana Capotondi, l’attrice romana che ha da poco finito di interpretare la figura della fondatrice del Movimento dei Focolari, realtà di rinnovamento spirituale presente in 180 Paesi con oltre due milioni di aderenti. In occasione del centenario della sua nascita (Trento, 22 gennaio 1920) andrà in onda il 3 gennaio, su Rai 1, il Tv-movie di Giacomo Campiotti Chiara Lubich.
«Il film parte dal 1943, quando Chiara, maestrina ventitreenne, vive l’esperienza traumatica del bombardamento alleato su Trento e decide con un gruppo di coetanee di fare qualcosa per lenire il dolore e le sofferenze dei suoi concittadini. Perfettamente cosciente di cosa significhino le ferite della guerra nelle esistenze di quelle famiglie, cerca di unire risorse e persone per portare amore e sostegno, in nome del Vangelo», spiega l’attrice. Una pagina particolare della Seconda guerra, quindi, ormai distante nel tempo e per i nostri vissuti. «Ma quei sentimenti, quelle volontà sono trasferibili alla nostra epoca, fortunatamente meno violenta, ma non meno bisognosa di conforto, di ascolto e soprattutto di unità di intenti. È proprio il pensiero ecumenico il tratto di Chiara che mi ha maggiormente impressionato».
«Ut unum sint», che tutti siano uno, è infatti il versetto evangelico che è diventato programma di vita della Lubich.
«Sì, è fortissima in lei quest’idea di unione, di voler tenere tutti assieme. E ha dedicato la sua intera vita alla ricerca della fratellanza universale».
Che storia è quella che ha interpretato e che idea si è fatta di Chiara come donna?
«È certamente una donna fuori dal comune, con qualità particolari. Chiara è pragmatica, ma è anche fragile. È dolce, ma insieme è determinata. Insomma, una personalità complessa con profondità di pensiero teologico e carica spirituale. Ed è anche molto diversa dalle icone classiche delle donne vicine alla Chiesa. Direi un unicum: non era una suora, ma aveva deciso di fare un voto per dedicare la propria vita al Signore».
Come si è avvicinata a questa donna molto diversa da altre figure femminili da lei interpretate?
«Ho studiato la sua figura a partire dalle lettere giovanili del periodo della nascita del Movimento. Ho letto molto e visionato documentari e video, che in Internet si trovano in abbondanza. E mi sono convinta che il suo è un caso strano».
Nel senso che all’inizio ha creato scandalo nella società maschilista del tempo?
«Sì, non poteva che scandalizzare questa sua libertà d’azione tutta al femminile. E anche in seguito, pur intuendone la grandezza e l’intelligenza, molti l’hanno vista con sospetto, come una rivoluzionaria. La Chiesa romana, che aveva riconosciuto il Movimento, le chiede le dimissioni mettendo in discussione il suo carisma personale, non tanto l’ortodossia dei Focolari».
Il suo messaggio è ancora attualissimo, ma le utopie di Chiara sono ancora da realizzarsi.
«Molte sono le cose che non si sono ancora realizzate, come l’economia solidale che lei applicava nelle sue “cittadelle”. Lo stesso ideale ecumenico resta sempre al di là dal suo compimento. Ma non abbiamo forse bisogno, oggi più che mai, dell’intuizione di uno sguardo accogliente del mondo, senza distinzioni di religioni e di razze? I suoi sono valori da incarnare oggi ancor più di ieri. E trovo limitante parlare di lei solo in ambito cattolico: Che tutti siano uno e il desiderio d’amore da donare sono messaggi per tutti gli uomini e le donne di oggi. Lei stessa ha voluto uscire dal recinto delle chiese ed è andata a parlare, prima donna a farlo, nella moschea di Harlem. Il suo è un messaggio politico ancora poco valorizzato».
Chiara è morta nel 2008. Cosa direbbe oggi, in tempi di pandemia?
«In un anno di dolore, vite e dialoghi spezzati, avrebbe certamente parlato di “occasione” da sfruttare per meditare sulla nostra società e sulla qualità delle nostre relazioni. Avrebbe approfittato dei social network, lei donna di grande comunicazione, che già negli anni ’80 faceva le dirette da Rocca di Papa con decine di Paesi nel mondo. Avrebbe usato la tecnologia digitale per veicolare valore e non ne sarebbe stata vittima. Sarebbe seguita da milioni di follower».
Lei ha un padre cattolico e una madre di fede ebraica: un ecumenismo praticato in casa. È credente?
«Quello dei miei è stato un matrimonio misto riuscito, con rispetto reciproco delle rispettive fedi. Io ho preso da entrambe le religioni. Ho però un rapporto particolare con Dio, non incasellato in nessuno dei due credo. Ma sono felice della mia spiritualità. Amo la storia delle religioni, perché racconta molto degli esseri umani e del loro rapporto con la natura».
Come vive il Natale?
«Con il mio compagno, in famiglia. Natale è occasione per stare assieme. È momento di grande spiritualità, in cui si celebra la storia di un uomo straordinario. Mi piace l’atmosfera e l’occasione che offre questa festa per fare attenzione all’umanità, specie in quest’anno davvero disgraziato in cui il distanziamento ci colpisce nel nostro cuore caldo. Da ragazzina mi piaceva molto andare alla Messa di mezzanotte».
Un altro ricordo particolare del Natale da bambina?
«Quando a 6 anni ho scoperto che Babbo Natale non esisteva: ho visto mio zio portare i regali in casa».