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sabato 14 settembre 2024
 
IL PAPA
 

«Chiediamo al Signore di essere "luci gentili" tra le oscurità del mondo»

13/10/2019  Durante la cerimonia di canonizzazione di tre suore, di una laica e del cardinale Newman, cui hanno partecipato, tra gli altri altri, anche il presidente della Repubblica Mattarella e il principe di Galles Carlo, Francesco ha riflettuto sulla pagina di Vangelo («I lebbrosi guariti ci insegnano a invocare, camminare insieme e a ringraziare») e ha sottolineato l'attualità dei 5 nuovi santi

Decine di migliaia di persone in Piazza San Pietro, giunte dall'India al Brasile, passando dalla Svizzera. E molte autorità, tra cui il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, e il principe di Galles Carlo. Papa Francesco ha canonizzato il cardinale inglese John Henry Newman (1801-1890), fondatore dell’Oratorio di San Filippo Neri nel Regno Unito,  la suora italiana Giuseppina Vannini (1859-1911), fondatrice delle Figlie di San Camillo; la religiosa indiana Mariam Thresia Chiramel Mankidiyan (1876-1926), fondatrice della Congregazione delle Suore della Sacra Famiglia; la suora brasiliana Dulce Lopes Pontes (1914-1992) e la laica svizzera Margherita Bays (1815-1879).

Jorge Mario Bergoglio ha cominciato riflettendo sulla pagina di Vangelo: «I lebbrosi guariti ci insegnano tre tappe:  invocare, camminare, caminare insieme, e ringraziare». Invocare, innanzitutto. «I lebbrosi si trovavano in una condizione terribile, non solo per la malattia che, diffusa ancora oggi, va combattuta con tutti gli sforzi, ma per l’esclusione sociale», ha spiegato il Santo Padre. «Al tempo di Gesù erano ritenuti immondi e in quanto tali dovevano stare isolati, in disparte (cfr Lv 13,46). Vediamo infatti che, quando vanno da Gesù, “si fermano a distanza” (cfr Lc 17,12). Però, anche se la loro condizione li mette da parte, invocano Gesù, dice il Vangelo, «ad alta voce» (v. 13). Non si lasciano paralizzare dalle esclusioni degli uomini e gridano a Dio, che non esclude nessuno. Ecco come si accorciano le distanze, come ci si rialza dalla solitudine: non chiudendosi in sé stessi e nei propri rimpianti, non pensando ai giudizi degli altri, ma invocando il Signore, perché il Signore ascolta il grido di chi è solo. Come quei lebbrosi, anche noi abbiamo bisogno di guarigione, tutti. Abbiamo bisogno di essere risanati dalla sfiducia in noi stessi, nella vita, nel futuro; da molte paure; dai vizi di cui siamo schiavi; da tante chiusure, dipendenze e attaccamenti: al gioco, ai soldi, alla televisione, al cellulare, al giudizio degli altri. Il Signore libera e guarisce il cuore, se lo invochiamo, se gli diciamo: “Signore, io credo che puoi risanarmi; guariscimi dalle mie chiusure, liberami dal male e dalla paura, Gesù”. I lebbrosi sono i primi, in questo Vangelo, a invocare il nome di Gesù. Poi lo faranno anche un cieco e un malfattore sulla croce: gente bisognosa invoca il nome di Gesù, che significa Dio salva. Chiamano Dio per nome, in modo diretto, spontaneo. Chiamare per nome è segno di confidenza, e al Signore piace. La fede cresce così, con l’invocazione fiduciosa, portando a Gesù quel che siamo, a cuore aperto, senza nascondere le nostre miserie. Invochiamo con fiducia ogni giorno il nome di Gesù: Dio salva. Ripetiamolo: è pregare. La preghiera è la porta della fede, la preghiera è la medicina del cuore».

Camminare è la seconda tappa. «Nel breve Vangelo di oggi compaiono una decina di verbi di movimento. Ma a colpire è soprattutto il fatto che i lebbrosi non vengono guariti quando stanno fermi davanti a Gesù, ma dopo, mentre camminano: "Mentre essi andavano furono purificati", dice il testo (v. 14). Vengono guariti andando a Gerusalemme, cioè mentre affrontano un cammino in salita. È nel cammino della vita che si viene purificati, un cammino che è spesso in salita, perché conduce verso l’alto. La fede richiede un cammino, un’uscita, fa miracoli se usciamo dalle nostre certezze accomodanti, se lasciamo i nostri porti rassicuranti, i nostri nidi confortevoli. La fede aumenta col dono e cresce col rischio. La fede procede quando andiamo avanti equipaggiati di fiducia in Dio. La fede si fa strada attraverso passi umili e concreti, come umili e concreti furono il cammino dei lebbrosi e il bagno nel fiume Giordano di Naaman, nella prima Lettura (cfr 2 Re 5,1417). È così anche per noi: avanziamo nella fede con l’amore umile e concreto, con la pazienza quotidiana, invocando Gesù e andando avanti. C’è un altro aspetto interessante nel cammino dei lebbrosi: si muovono insieme. "Andavano" e "furono purificati", dice il Vangelo (v. 14), sempre al plurale: la fede è camminare insieme, mai da soli».

Ringraziare, infine. «Una volta guariti, nove vanno per conto loro e solo uno torna a ringraziare. Gesù allora esprime tutta la sua amarezza: «E gli altri nove dove sono?» (v. 17). Sembra quasi che chieda conto degli altri nove all’unico che è tornato. È vero, è compito nostro – di noi che siamo qui a “fare Eucaristia”, cioè a ringraziare –, è compito nostro prenderci cura di chi ha smesso di camminare, di chi ha perso la strada: siamo custodi dei fratelli lontani. Siamo intercessori per loro, siamo responsabili per loro, chiamati cioè a rispondere di loro, a prenderli a cuore. Vuoi crescere nella fede? Prenditi cura di un fratello lontano, di una sorella lontana. Solo a quello che ringrazia Gesù dice: «La tua fede ti ha salvato» (v. 19). Non è solo sano, è anche salvo. Questo ci dice che il punto di arrivo non è la salute, non è lo stare bene, ma l’incontro con Gesù. La salvezza non è bere un bicchiere d’acqua per stare in forma, è andare alla sorgente, che è Gesù. Solo Lui libera dal male e guarisce il cuore, solo l’incontro con Lui salva, rende la vita piena e bella. Quando s’incontra Gesù nasce spontaneo il “grazie”, perché si scopre la cosa più importante della vita: non ricevere una grazia o risolvere un guaio, ma abbracciare il Signore della vita. È bello vedere che quell’uomo guarito, che era un samaritano, esprime la gioia con tutto sé stesso: loda Dio a gran voce, si prostra, ringrazia (cfr vv. 15-16). Il culmine del cammino di fede è vivere rendendo grazie. Possiamo domandarci: noi che abbiamo fede, viviamo le giornate come un peso da subire o come una lode da offrire? Rimaniamo centrati su noi stessi in attesa di chiedere la prossima grazia o troviamo la nostra gioia nel rendere grazie? Quando ringraziamo, il Padre si commuove e riversa su di noi lo Spirito Santo. Ringraziare non è questione di cortesia, di galateo, è questione di fede. Un cuore che ringrazia rimane giovane». 

«Oggi», ha concluso Bergoglio, «ringraziamo il Signore per i nuovi Santi, che hanno camminato nella fede e che ora invochiamo come intercessori. Tre di loro sono suore e ci mostrano che la vita religiosa è un cammino d’amore nelle periferie esistenziali del mondo. Santa Marguerite Bays, invece, era una sarta e ci rivela quant’è potente la preghiera semplice, la sopportazione paziente, la donazione silenziosa: attraverso queste cose il Signore ha fatto rivivere in lei lo splendore della Pasqua. È la santità del quotidiano, di cui parla il santo Cardinale Newman, che disse: «Il cristiano possiede una pace profonda, silenziosa, nascosta, che il mondo non vede. […] Il cristiano è gioioso, tranquillo, buono, amabile, cortese, ingenuo, modesto; non accampa pretese, […] il suo comportamento è talmente lontano dall’ostentazione e dalla ricercatezza che a prima vista si può facilmente prenderlo per una persona ordinaria» (Parochial and Plain Sermons, V,5). Chiediamo di essere così, “luci gentili” tra le oscurità del mondo. Gesù, «resta con noi e noi cominceremo a brillare come Tu brilli, a brillare in modo da essere una luce per gli altri»

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«Invocare, camminare e ringraziare: ecco cosa ci insegnano santi e lebbrosi»
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