Questa seconda puntata continua la riflessione sul rapporto tra fede vissuta e fede pensata. Facciamo qui un passo in più e rispondo alla domanda di un lettore che mi chiedeva: se studio la teologia, rischio di perdere la fede? Rispondo senza mezzi termini: il problema non è lo studio e la ricerca, ma è l’impostazione del lavoro teologico e soprattutto la finalità che si persegue nel fare lo studio. E qui – mi permetto di denunciare una situazione nota – pare che a volte alcuni docenti perdano di vista il senso del servizio teologico nella Chiesa. Dai racconti degli studenti, mi pare di capire che ci siano docenti che si divertono a scandalizzare i più fragili! Tante volte le stesse idee possono essere dette senza scandalizzare chi è ancora neofita. Do un esempio e mi scuso in anticipo per la semplificazione estrema. Consideriamo i primi undici capitoli di Genesi. Uno potrebbe dire: «E ci credete ancora? Sveglia! Ma nulla di ciò è vero! Sono racconti che si trovano in altre culture. I redattori biblici li hanno attinto ad altre fonti». Oppure si potrebbe dire: «Nel riflettere sulle questioni delle origini, gli autori sacri hanno attinto all’esperienza della fede di Israele e, come è normale che sia, al materiale presenti nelle culture circostanti e così sono nati questi racconti che portano delle similitudini con quelle delle culture circostanti, ma allo stesso tempo, e in maniera sottile e intelligente, dicono la fede di Israele e presentano in narrazioni e in simboli accessibili a tutti delle grandi verità come: il Dio creatore (una rivoluzione filosofica e culturale!), la bontà della creazione (che nega il dualismo originario tra bene e male e che presenta la creazione come un bene e come qualcosa di bello), la demolizione nelle credenze astrologiche e della divinizzazione dei pianeti, il rapporto uomo-donna, ecc.». Sebbene entrambe le risposte dicano che bisogna uscire da una lettura ingenua che considera i primi racconti come la cronistoria della creazione, ognuna avrebbe un effetto totalmente diverso sull’uditorio. La prima distrugge e dissacra il testo biblico e non offre prospettive; la seconda istruisce e permette di costruire un sapere più maturo e non distoglie dalla lettura orante del testo sacro. Per cui, non è lo studio in sé che allontana, anzi, grandi santi hanno invitato a studiare per nutrire la fede e l’amore e per maturare nella conoscenza di Cristo. Ed è proprio di questo che parleremo nella terza parte della nostra riflessione.