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giovedì 03 ottobre 2024
 
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La teologia deve essere la scienza dell’amore!

23/12/2021  Non è necessario scegliere tra studio e preghiera ma coniugare leggio e inginocchiatoio. La riflessione del teologo Robert Cheaib

Giungiamo con questa (terza) puntata dedicata al rapporto tra fede e studio a un punto “costruttivo” dopo aver guardato alcune obiezioni che sorgono nell’animo di chi si sente attratto dalla teologia, ma impaurito dal rischio di perdere la fede con le troppe discettazioni. Lascio la risposta a due santi di mia predilezione: Giovanni Paolo II e Bonaventura. Parto, innanzitutto, da una frase ricchissima di Giovanni Paolo II nella sua enciclica Fides et ratio. Siamo proprio all’inizio e il Papa presenta la fede e la ragione «come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. È Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso». Sulla falsariga di un sermone di sant’Agostino, Giovanni Paolo II mostra la complementarietà tra credere e comprendere: «credo ut intelligam et intelligo ut credam» («credo per comprendere e comprendo per credere»). Per spiegare questa continuità, mi piace far riferimento a san Bonaventura che considera la teologia come la scienza dell’amore (scientia amoris). Interrogandosi, infatti, sull’utilità dello studio della teologia, egli spiega – parafraso molto liberamente – che studiamo per un gesto d’amore verso gli altri, per rendere a loro ragione della speranza che è in noi. Ma, ancora più intimamente, studiamo perché il nostro amore verso Cristo vorrebbe conoscere Cristo sempre più e questa conoscenza è accessibile in maniera complementare alla contemplazione (la vita di preghiera) e alla meditazione (la riflessione e la cultura). Il nodo, quindi, non è quello di scegliere tra preghiera e studio, ma di coniugare entrambe le cose non dimenticando né l’inginocchiatoio, né il leggio. È un equilibrio difficile da mantenere e richiede tanta ascesi e tanta vigilanza affinché, da un lato, la fede non sia sinonimo d’ignoranza (di Cristo e delle Scritture), e la scienza non diventi una scienza gonfia e vana. Penso, in chiusura, che un versetto della Prima lettera di san Pietro (3,15) esorti già alla congiunzione felice tra questi due elementi, quando invita i cristiani: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi».

 
 
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