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Comunità divise: come affrontare i conflitti?

28/01/2021  È opportuno non banalizzare quello che avviene, se non si vuole immettersi in una spirale di violenza. La riflessione del teologo Gaetano Piccolo

Nonostante la distanza sociale, nonostante molte cose siano cambiate nelle nostre comunità parrocchiali, quello che non viene meno è un certo livello, più o meno alto, di conflittualità. Sembra infatti che lo scontro tra fazioni abbia trovato un terreno fecondo anche sui social. I pastori trovano difficoltà a gestire questo clima di lotta intestina e talvolta sono loro stessi a incrementare le reazioni violente, attraverso prese di posizione autoritarie o simpatie dichiarate in modo inopportuno tra i fedeli. Possiamo però provare a guardare queste situazioni anche da un altro punto di vista, perché in un certo senso dovremmo preoccuparci di più di quei contesti dove apparentemente non c’è alcun conflitto. Molte volte, infatti, andando a guardare più in profondità, quell’assenza di conflitto nasconde una falsa armonia, un clima dittatoriale, dove ogni critica è punita con l’epurazione o l’ostracismo. È possibile anche che sia in atto un’opera di rimozione dei problemi: nessuno vuole guardarli, ma purtroppo queste situazioni sono destinate a esplodere in maniera ancora più violenta. Le situazioni di conflitto evidenziano quindi che c’è una vitalità nella comunità, ci sono posizioni differenti, c’è la possibilità di esprimere il dissenso. Ma soprattutto il conflitto dice anche che ci teniamo alla comunità, magari in maniera sbagliata, ma c’è un affetto, un interesse. E questo è un punto di partenza molto più utile rispetto all’indifferenza, dove non si muove niente e dove non c’è un coinvolgimento. Il conflitto quindi può essere un’occasione di crescita della relazione, perché fa venir fuori quello che non va, la frustrazione di qualcuno, i bisogni non visti o quelli che non possono trovare risposta nella comunità. Il rischio che possiamo correre in una situazione di contrasto consiste nella spirale di violenza che può crescere sempre di più. È opportuno quindi non banalizzare o minimizzare quello che sta avvenendo. Sarebbe meglio fare il punto, vedere precisamente quello che non va piuttosto che lasciare che il conflitto diventi migrante, che invada cioè ogni ambito e che ogni cosa diventi pretesto per accendere la miccia del conflitto. Per affrontare il conflitto è utile che ciascuna parte riconosca previamente anche la propria parte di errore. Ogni conflitto, infatti, nasce anche dall’ignoranza, cioè dal fatto che non sappiamo mai esattamente cosa attraversa il cuore dell’altro.

 
 
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