Leggo ultimamente, con una certa soddisfazione, della diffusione dei benefici fisici del digiuno. Mi riferisco alla pratica in aumento del «digiuno intermittente» o del digiunare un giorno a settimana. Lo dico perché, venendo dal Libano, ci sono pratiche belle che ho custodito pur vivendo in Italia da oltre vent’anni. Un esempio, durante il tempo di Quaresima, è il digiuno da mezzanotte fino a mezzogiorno come anche il digiuno dalla mezzanotte del Giovedì santo fino al mezzogiorno del Sabato santo… e ogni anno era la solita storia; dovevo sentire i predicozzi di chi mi diceva che non era salutare: «La colazione è fondamentale… la colazione non si salta… ecc. ecc.».
Non sto qui a fare un’apologia del digiuno, ma voglio sottolineare un volto preciso che deve accompagnare questa pratica ascetica: la carità. In un canto del vespro del martedì di Quaresima, la liturgia della Chiesa maronita – imbevuta della teologia dei Padri orientali, specie quelli siriaci – collega strettamente il digiuno e la Quaresima con la carità. Il canto recita così: «Quanto è splendido il digiuno / Che si adorna dell’amore / Spezza generoso il tuo pane con chi ha fame / Altrimenti il tuo non è digiuno, ma risparmio». Forse ai nostri giorni non si digiuna per risparmiare, ma più per dimagrire. La Chiesa, che insegna attraverso il tempo liturgico della Quaresima, ricorda che il digiuno cristiano è molto più dell’astinenza dai cibi. I sacrifici prendono valore se diventano amore. Il digiuno, in altre parole, ci deve portare a due pratiche complementari d’amore: amore verso il Signore, cosicché la fame fisica sia memoria della nostra fame di lui, della nostra «povertà in spirito» (cfr. Matteo 5,3); amore verso il prossimo, perché il sentire volontariamente la fame ci apre il cuore (e le mani) verso chi non per sua volontà ha fame.
Soltanto così – con l’amore concreto – il digiuno smette di essere una pratica autoreferenziale o, peggio, disprezzo verso il corpo e la materia, quale retaggio di ideologie dualistiche estranee al cristianesimo. Viviamo allora il digiuno come una forma d’amore ascoltando una raccomandazione sul digiuno da un’altra strofa dall’ufficio maronita: «A chi ha bisogno dona ciò che ti è avanzato / E sperimenterai la fecondità della Quaresima / Canta il digiuno con due bocche: Una bocca che digiuna! / E un’altra che gioisce grazie al tuo dono!».