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La lettera apostolica Amoris Laetitia che papa Francesco dedica alla famiglia è l’ultimo intervento di un ampio magistero sul matrimonio cristiano che si è sviluppato tuttavia solo negli ultimi duecento anni della storia della Chiesa, quando questioni teologiche e questioni istituzionali e giuridiche attorno al matrimonio si intrecciano in modo indissolubile e hanno bisogno di essere precisate.
Con l'Illuminismo e società industriale è finita l’era della cristianità, della società organizzata cristianamente. E il matrimonio cristiano è il primo che va sotto la lente, al punto di arrivare a discutere financo se il matrimonio possa essere considerato davvero un sacramento. Fino all’inizio del 1800 l’argomento del matrimonio non è tra quelli che appassionano il Magistero e la teologia. Problemi non ci sono, se non precisazioni definitorie di forma canonica. La forma canonica viene introdotta dal Concilio di Trento (1535-1563) con il decreto Tametsi, che regola la forma del matrimonio fino al 1917, anno della promulgazione del Codice di diritto canonico. Il decreto era il primo dei dieci capitoli del De reformatione matrimonii. Venne introdotto l’uso delle pubblicazioni prima del matrimonio e si stabilì che il matrimonio dovesse essere celebrato davanti al parroco personale dei due sposi con la presenza di almeno due testimoni. E furono anche istituiti i registri parrocchiali sui quali il matrimonio doveva essere trascritto. Ma si trattava soltanto di questioni, potremmo dire, tecniche.
Nessuno metteva in discussione altro in società moralmente cristiane. Quando, dopo la Rivoluzione francese, cominciò a cambiare il clima culturale e sociale la Chiesa iniziò ad intervenire contro correnti liberali e laiciste, venate dal pensiero e dall'azione della massoneria, che mettevano in discussione la forma e la sostanza del matrimonio cristiano. Sotto la lente finisce la disputa anche teologica del rapporto nel matrimonio tra contratto e sacramento. L’affronta Pio VI nel “breve” Etsi Fraternitatis del 1803 che si può considerare il primo documento del Magistero sulla questione e poi altri papi per ribadire la prerogativa della Chiesa di regolare giuridicamente il matrimonio. Pio IX la difende nella lettera Ad Apostolicam del 22 agosto 1851 per confutare la tesi del professor torinese Giovanni Nepomuceno Nuytz, il quale sosteneva che il sacramento fosse solo un accessorio separabile dal contratto di matrimonio. Insomma il sacramento consisteva solo nella benedizione da parte del sacerdote degli sposi. Pio IX l’anno dopo scrisse una lettera addirittura al re Vittorio Emanuele per contestare la teoria che si stava facendo strada anche tra i cattolici del Regno. Riprese il problema nella Enciclica Quanta cura che in appendice aveva Il Sillabo degli errori. Ebbene tra gli errori al punto 66 veniva proprio indicata la teoria secondo la quale il sacramento nel matrimonio è considerato solo la benedizione finale.
Durante il Concilio Vaticano I si parla della questione, ma poi a causa della repentina interruzione del Concilio nel 1870 a causa della guerra franco-prussiana, le tracce di essa spariscono. Ma l’argomento viene ripreso da Leone XIII nell’enciclica Inscrutabili Dei del 21 aprile 1878 che rivendica alla Chiesa i diritti in materia matrimoniale, che è praticamente l’introduzione all'Arcanum divinae sapientiae di Leone XIII del 1880, la prima enciclica che presenta in modo organico la dottrina sul matrimonio e indica “le forme di pensiero e azione” che saranno poi messe a punto nel 1917 dal Codice di diritto canonico. Fino al 1930 non c’è altro e sembrano non esserci problemi.
Sono passati 50 anni e la svolta avviene perché la Comunione anglicana in quell’anno ammette la contraccezione. La Santa Sede deve confutare gli anglicani e allora Pio XI scrive l’enciclica Casto connubi nel quale si oppone alla contraccezione e al tempo stesso avvia il Magistero sulla strada della lettura del matrimonio e della famiglia nel contesto del diritto naturale. Di nuovo la cosa appassiona e divide. La tesi è che c’è una naturalità nel rapporto matrimoniale che va oltre la libertà del singoli. La giustificazione teologica sta nell’abbraccio tra Grazia e natura, voluto da Dio, che tuttavia va riferito al matrimonio nel suo complesso, cioè al sacramento. La frase finale dell’enciclica lo spiega molto bene. Eccola: “Poiché Cristo ancora stabilì che lo stesso valido consenso matrimoniale fosse il segno della Grazia, perciò la ragione di sacramento va col matrimonio cristiano così strutturalmente connessa, che tra battezzati non può esserci matrimonio che non sia con ciò stesso anche sacramento”.
Pio XII ribadisce di nuovo l’analisi nella Mystici Corporis Christi del 29 giugno 1943. Ma sarà il Vaticano II il primo Concilio nel quale si affronta con un grande sforzo teologico e giuridico la questione del matrimonio cristiano e della famiglia. La Lumen Gentium decreta autorevolmente, per esempio, ciò che aveva già detto Pio XII e cioè che i ministri sono gli sposi. Il Vaticano II cambia il linguaggio, insegna che la persona è più importante del contratto. Paolo VI con l’Humanae vitae, la grande enciclica moderna sul matrimonio, torna a sottolineare la questione. L’enciclica appare nel 1968. Ha un iter travagliato, c’è dissenso sulla sua necessità. Montini va avanti e la pubblica. Ma il clima culturale dentro e fuori la Chiesa la trasforma in argomento di lotta nelle trincee di progressisti e conservatori, perché ribadisce la dottrina classica della contraccezione aprendo solo ai metodi naturali. L’Humanae vitae resta nella storia come l’enciclica più contestata da una parte e dall’altra e a questo uso distorto si devono le mortificazioni e le incomprensioni sostanziali del testo.
Con Giovanni Paolo II nel 1981, quando appare la Familiarsi consortio si nota davvero una svolta. Intanto per la prima volta il focus dell’attenzione si sposta decisamente dal matrimonio in senso giuridico e teologico alla famiglia con un piglio più pastorale. Lo si capisce subito dal titolo con l’espressione familiaris che è del tutto nuova nel Magistero della Chiesa. Wojtyla propone di ripensare all’intero magistero sulla famiglia. C’erano state discussioni e c’era stato un Sinodo, del quale non si sono mai pubblicate le conclusioni. Si sa che su alcune cose vi erano state aperture nella discussione, tra cui i divorziati e la contraccezione. Wojtyla non cambia nulla della dottrina, ma la sua Esortazione per l’epoca è una piccola rivoluzione perché non contrappone più alla famiglia cristiana le altre famiglie, non rivendica alcuna legittima autorità della Chiesa e cambia l’idea che le famiglie cristiane siano solo quelle regolari mentre le altre siano "infami" (pubblici infami) e i loro membri scomunicati, come il Codex del 1917 bollava i divorziati.
Adesso sono passati 35 anni dal testo di Karol Wojtyla. Papa Francesco ha convocato due Sinodi per riflettere su matrimonio e famiglia e già siamo davanti ad un altro cambio di passo, almeno a ciò che si conosce e cioè il titolo. Non è più qualcosa di “arcano della divina sapienza” come per Leone XIII, argomento sul quale ogni discussione non era praticamente ammessa, non è un consorzio come per Giovanni Paolo II ma è amore, forza e potenza del Vangelo ciò che vale di più nel matrimonio e nella famiglia.