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domenica 16 febbraio 2025
 
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Chiesa, il tempo dei martiri

08/09/2014  Ad Anversa, in Belgio, dove la Comunità di Sant'Egidio ha organizzato l'annuale Incontro internazionale delle religoni per la pace, sono state ricordate le persone perseguitate, e spesso uccise, a causa della loro fede.

Siria, 21 agosto 2014: così si presentava una chiesa cristiana di Maaloula, devastata da fondamentalisti islamici. Foto Reuters.
Siria, 21 agosto 2014: così si presentava una chiesa cristiana di Maaloula, devastata da fondamentalisti islamici. Foto Reuters.

Anversa, Belgio
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«Oggi – ha recentemente detto papa Francesco – ci sono più martiri che nei primi tempi della Chiesa, tanti fratelli e sorelle nostre che offrono la loro testimonianza e sono perseguitati. Sono condannati perché posseggono una Bibbia, non possono portare il segno della croce». Di questa “processione di martiri” – ultime le tre suore italiane saveriane uccise ieri in Burundi – si è parlato questa mattina in un panel dell’incontro interreligioso organizzato ad Anversa dalla Comunità di Sant’Egidio. Il cardinale nigeriano Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, ha ricordato come «martire derivi dal greco “testimone”»: nella sua diocesi, dove i cristiani rischiano la vita per gli attacchi terroristi degli islamisti di Boko Haram, «la situazione sta peggiorando». «Uno dei motivi – ha detto – è l’esclusivismo, l’accettazione solo di chi è uguale a sé. Per questo, incontri come quello di questi giorni, in cui si afferma la necessità della pace religiosa, sono fondamentali».

Come essere “testimoni” durante quella che il Papa ha chiamato «terza guerra mondiale» a brandelli? Mentre in Ucraina vacilla la tregua e si torna a sparare, il vescovo ortodosso Nikolaj di Kiev ha indicato la strada: lavorare per la pace, anche quando sembra «la possibilità dell’impossibile». «Oggi – racconta il vescovo – la nostra Chiesa, che sta aiutando i profughi scappati da casa, unisce persone assolutamente diverse in tutta l’Ucraina e noi tutti siamo familiari e infinitamente vicini l’uno all’altro. A me è vicino e comprensibile il dolore di ciascuno, e oggi cerchiamo di aiutare, con quello che possiamo, tutti coloro che soffrono per la guerra. Custodiamo il principale tesoro dell’Ucraina: la pace interreligiosa e interecclesiale». Citando l’esempio di padre Spiridon, cappellano durante la Prima guerra mondiale, il vescovo ha ricordato che i cristiani di ogni confessione debbono affermare che «non esistono guerre giuste». E ha aggiunto: «Debbono mantenere una distanza interiore da uno Stato che desiderasse rafforzare il patriottismo con simboli cristiani, non devono cedere al delirio patriottico o nazionalistico».

Il vescovo siro-ortodossa Kawak ha ricordato la persecuzione contro i cristiani in Iraq e Siria, «martiri perché testimoni di Cristo». La sua Chiesa ha già subito un genocidio, quello del Sayfo (Spada), quando mezzo milioni di siriaci furono uccisi dai turchi a margine della Prima guerra mondiale, in contemporanea alla tragica fine degli armeni. «E oggi – ha detto – non sono martiri i cristiani cacciati da Mosul e dalla Valle di Ninive? Non lo sono le donne vendute come schiave e a cui è rubato il futuro? A Sadat, in Siria, 80 cristiani sono stati uccisi dalle milizie islamiste e a Maalula i cristiani sono diventati le pecore condotte al sacrificio di cui parla la Scrittura». Ma come deve comportarsi un cristiano nella persecuzione? Secondo il vescovo, anche in mezzo alla violenza, «il credente deve professare la fede con dolcezza e rispetto, segni della vera forza, come ci insegna il perdono dato ai persecutori da tanti martiri».

È questo un tema ripreso anche da don Angelo Romano della Comunità di Sant’Egidio, rettore della Basilica di San Bartolomeo all’Isola di Roma, dove Giovanni Paolo II volle raccogliere la memoria dei martiri cristiani da tutto il mondo e da tutte le chiese cristiane. Tra le reliquie qui conservate, c’è una piccola croce di Suor Leonella Sgorbati, uccisa il 17 settembre 2006 all’uscita dopo ripetute minacce dall’ospedale di Mogadiscio. «In Somalia c’era la guerra – ricorda don Angelo – e con essa oscuri disegni di terrorismo e di violenza contro i pochissimi cristiani ancora presenti. Suor Leonella era accompagnata dal suo autista somalo, Mohammad, musulmano e padre di quattro figli, che vide giungere l’assassino e, per difenderla, corse a coprirla con il suo corpo, morendo lui per primo. Suor Leonella, morì poco dopo ripetendo “perdono, perdono”. Questa storia disegna un’icona di come dovrebbero essere i rapporti tra cristiani e musulmani, amarsi l’un l’altro al punto da dare la vita gli uni per gli altri».

Nel panel, il vescovo romeno Virgil della Chiesa greco-cattolica ha ricordato come, durante i regimi comunisti, la persecuzione abbia unito credenti di diverse confessioni cristiane, che si sorreggevano l’un l’altro: «Nelle prigioni e nei campi di lavoro, tutti erano fratelli; ricordo un battesimo celebrato da un prete ortodosso con due assistenti cattolici». Infine, monsignor Jesus Delgado, vicario generale di San Salvador e segretario del vescovo ucciso sull’altare nel 1980, ha sottolineato come «Romero aveva paura e più volte lo aveva manifestato. Non moriva per eroismo, ma era convinto di dover adempiere ai suoi doveri di cristiano». Proprio per questo, Delgado accosta la figura del pastore salvadoregno, di cui si è finalmente sbloccata la causa di beatificazione, a William Quijano, «un giovane della Comunità di Sant’Egidio ucciso dalle maras, bande giovanili diventate oggi un nuovo fenomeno mafioso, con intrecci oscuri con il narcotraffico e il coinvolgimento di circa 100.000 persone». Sono realtà molto violente che impongono la loro autorità su interi quartieri dei centri urbani, ed ultimamente anche alla campagna. Racconta il vescovo: «William, che lavorava nel distretto di Apopa, amava la vita e in maniera amichevole ha attratto molti giovani e bambini alla Scuola della Pace. La sua vita testimonia che si può fare il bene, vivere in modo pacifico e solidale anche in mezzo alla violenza cieca, alla morte e alla mancanza di pietà. È un vero martire del nostro tempo». Aveva scelto di stare dalla parte dei poveri, mischiando giorno per giorno la propria vita con il Vangelo, come diceva monsignor Romero: «Dare la vita non è solo l’effusione del sangue, dare la vita non significa solo essere uccisi; dare la vita, avere spirito di martirio è dare nel dovere, nel silenzio, nella preghiera, nel compimento onesto del dovere; in quel silenzio della vita quotidiana; dare la vita a poco a poco Come la dà una madre, che senza timore, con la semplicità del martirio materno, concepisce nel suo seno un figlio, lo dà alla luce, lo allatta, lo fa crescere e accudisce con affetto. È dare la vita. È martirio».

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