L'8 dicembre 1965, giorno di
chiusura del concilio Vaticano
II, Enzo Bianchi si
stabiliva da solo in una cascina
senza acqua e senza
elettricità nelle campagne di Magnago,
sulla morena tra Ivrea e Biella.
I primi tre
anni furono vissuti in solitudine, in compagnia
del Vangelo e degli scritti dei padri
della Chiesa. Poi arrivarono i primi fratelli
e le prime sorelle.
Oggi la comunità monastica
di Bose ha altre quattro fraternità
(Ostuni, Assisi, Cellole e Civitella) e conta
quasi un centinaio tra monaci e monache,
di sei nazionalità, provenienti da
diverse Chiese cristiane. Un punto di riferimento
per l’ecumenismo, confermato
dal riconoscimento arrivato lo scorso
anno da papa Francesco, che ha voluto
Enzo Bianchi come consultore del Pontificio
consiglio per la promozione dell’unità
dei cristiani. In occasione della Settimana
del dialogo, ritorniamo un po’ alle
radici e chiediamo a Bianchi perché l’ecumenismo
è importante per la Chiesa.
«L’ecumenismo», spiega il priore di
Bose, «è importante perché l’ha voluto Gesù Cristo, quando ha chiesto che i suoi
siano uno e ha fatto dipendere la credibilità
del Vangelo e del messaggio cristiano
dalla capacità dei cristiani di non dividersi
tra di loro e di praticare la carità.
La
preghiera ultima di Gesù al Padre prima
di morire (“Padre santo, custodiscili nel
tuo nome, quello che mi hai dato, perché
siano una sola cosa, come noi”, Giovanni
17,11) non è una moda o un segno dei
tempi, come qualcuno dice, ma fa parte
dell’essenza del Vangelo. Non si può essere
cristiani senza essere ecumenici. È
questo vale soprattutto per un cattolico,
che ha la vocazione all’universale».
- Cosa vuol dire fare ecumenismo?
«Prima di tutto riconoscere che se
una persona ha il Battesimo e si appella
a Gesù Cristo, fa parte del corpo di
Cristo, che nella storia è la Chiesa. Si
entra in questo corpo tramite il Battesimo.
Non so quanti ne sono consapevoli,
temo che i più pensino che il corpo
di Cristo sia soltanto la Chiesa cattolica.
Invece il corpo di Cristo mette insieme
tutti quelli che hanno ricevuto il Battesimo.
E la Chiesa nel “Credo” confessa un solo Battesimo. Essere consapevoli
del fatto che il Battesimo ci incorpora a
Cristo, ci rende sue membra, fa vedere
sotto un’altra luce il rapporto con gli altri
cristiani: prima di vederli come fratelli
separati, scismatici o che non condividono
pienamente la confessione di fede,
li considero comunque membra del
corpo di Cristo, come me».
- La comunità da lei fondata è nata
50 anni fa, nella stagione del Concilio.
Come è cambiato il clima ecumenico
con il Vaticano II?
«Basti dire che, poco più di 60 anni
fa, il parroco del mio paese chiedeva di
tirare sassi ai protestanti che venivano
a vendere la Bibbia. Ora questo non avviene
più, il cammino dal Concilio per
la Chiesa cattolica è stato un mutamento
radicale e totale. Prima non potevamo
neanche pregare insieme agli altri
cristiani. Non dimentico di aver addirittura
avuto dei problemi per avere partecipato,
a 18 anni, a un culto della Chiesa
valdese; ci fu una censura pubblica
molto forte nei miei confronti da parte
del parroco. Oggi tutte le comunità sono invitate a pregare insieme, e lo
fanno, quindi il mutamento c’è stato».
- Cosa resta ancora da fare?
«Certamente in vista di un’unità visibile
il cammino è ancora molto lungo
e se in qualche momento ho sperato,
soprattutto negli anni ’70, che con
qualche probabilità avrei potuto vedere
una convergenza, un’unità durante
la mia vita, oggi i problemi sono molto
più profondi. La stessa via ecumenica
è diventata meno facile da percorrere e
più complessa. Prendiamo consapevolezza
che non è facile arrivare all’unità,
pensarla a breve termine, neanche come
cristiani delle grandi Chiese tradizionali,
storiche. Senza parlare dell’unità
con quanti, e sono un grande numero,
appartengono al mondo evangelicale,
pentecostale-carismatico».
- A livello di base, di parrocchie, che
tipo di esperienza si può fare e come
si può crescere in questo cammino?
«Visto che in Italia, come cattolici,
di numero siamo estremamente più
grandi di ortodossi e riformati e non c’è
possibilità di scambio alla pari, sarebbe
importante, in alcune occasioni, sentire
nelle nostre parrocchie la parola di un
pastore, di un prete ortodosso, partecipare
ad alcune loro feste e soprattutto
avere il coraggio di leggere opere riguardanti
la fede, la spiritualità del mondo
ortodosso o evangelico. Questo darebbe
un respiro più ampio».
- Qualche suggerimento di letture?
«Qualche testo di Paolo Ricca, che
in tutti i suoi libri è un maestro, ed è della
Chiesa valdese. E per le Chiese ortodosse
basterebbe pensare ai libri del patriarca
ecumenico Bartolomeo I... Mi domando se nelle famiglie, nelle parrocchie,
la gente abbia accesso a questi
testi. Come si fanno leggere tanti volumi
che appartengono a scrittori cattolici e
così si riesce ad arrivare alla vita di molti
fedeli, si potrebbero consigliare opere di
autori non cattolici che possano essere
di grande aiuto a vivere la fede in mezzo
agli uomini di oggi».
- Prossimamente ci saranno due
eventi importanti per le Chiese cristiane.
Nel 2016 dovrebbe tenersi il Sinodo
di tutte le Chiese ortodosse; nel
2017 poi i protestanti celebreranno i
500 anni della Riforma di Lutero. Cosa
significano questi due appuntamenti
per la Chiesa cattolica?
«Per gli ortodossi il Sinodo è di importanza capitale perché non hanno
mai più avuto un Sinodo generale dopo
i prime sette Concili ecumenici celebrati
con la Chiesa di Roma. Gli ortodossi
sono a pieno titolo Chiese sorelle: l’unità
tra di loro faciliterà la strada verso
la comunione visibile nella diversità. Il
problema con i cattolici è solo il ministero
universale da parte del vescovo di
Roma. Loro accettano quanto si è vissuto
nel primo millennio: a questo dobbiamo
puntare e chiedere soltanto che
il Papa, servo della comunione a livello
universale, possa esercitare il suo ministero
ogni volta che queste Chiese ne
avranno bisogno. Per noi questo Sinodo
è un’occasione per conoscere meglio
tali Chiese e poterle aiutare».
- E il giubileo dei protestanti?
«La Riforma è molto importante:
è stata una divisione e uno smembramento
della Chiesa occidentale. È una
ferita che, è importante ricordare, Lutero
all’inizio non voleva. A un certo punto
si è trovato in una situazione in cui il
cammino percorso non era più di convergenza
e di unità e si è profilato uno
scisma che ha significato un impoverimento
enorme sia per la Chiesa cattolica
che per le Chiese della Riforma,
che hanno preso una via tutta loro senza
la sinfonia della cattolicità nel senso
del “Credo”. Questo appuntamento per
noi potrebbe essere una memoria che il
Vangelo continua a richiamare: la riforma
della Chiesa, “semper reformanda”.
Un termine, riforma, che papa Francesco
non ha paura di usare».
- Come sta vivendo papa Francesco
la dimensione ecumenica?
«Francesco ha causato un mutamento molto forte soprattutto nel
mondo ortodosso. Hanno avuto segni di
un riconoscimento della loro qualità di
Chiese che attendevano. C’è una parola
del patriarca Bartolomeo che i mass
media non hanno sottolineato: “Adesso
gli ortodossi non hanno più paura di
Roma”. Le parole che Francesco ha detto
all’inizio del suo ministero, “vescovo di Roma”, sono importanti per gli ortodossi,
che sono disposti a riconoscere
un primato alla Chiesa di Roma sul canovaccio
di quello che abbiamo vissuto
insieme nel primo millennio. E poi
c’è una novità: Francesco sta invitando
all’ecumenismo non solo con le Chiese
tradizionali, ma anche con le nuove
Chiese evangelicali-carismatiche-pentecostali
proprio perché, come ha detto
negli incontri che ha fatto, è convinto
che il Battesimo è decisivo per appartenere
al corpo di Cristo. E comunque
questi sono suoi fratelli. Quest’ottica è
nuova per tutta la Chiesa cattolica: l’ha
inaugurata lui, con uno stile umile che
è molto importante per il cammino
dell’ecumenismo».