Anche in Vaticano si parla di chirurgia
estetica. Già papa Pio XII, nel 1958, aveva
affermato che la stima e la cura della
bellezza fisica non sono mai stati condannati dal
cristianesimo e che alcune deformità o imperfezioni
possono causare turbamenti psichici, diventando
un ostacolo per le relazioni sociali, familiari o
lavorative. Aggiungendo che la chirurgia plastica è
«una scienza e un’arte, ordinate, in se stesse, a beneficio dell’umanità, e altresì, per quanto concerne
la persona del chirurgo, una professione in cui
si trovano impegnati anche importanti valori etici
e psicologici».
Lo scorso febbraio, il Pontificio consiglio della
cultura, sotto la direzione del cardinale Gianfranco
Ravasi, ha proposto un’assemblea plenaria per
riflettere sulle culture femminili. Nel documento
preparatorio si è affrontato anche il tema della chirurgia
estetica, identificata come “’Burqa di carne”.
Una definizione che è apparsa molto dura, ma
di cui Ravasi ha chiarito il senso: «Si tratta di un’affermazione
che parte dall’idea che il corpo della
donna sia a volte sottoposto a una sorta di “dittatura
dell’estetica”. È quasi come se la donna fosse
obbligata a obbedire a un modello che è quello artificioso della pubblicità».