Nella vita di Christopher Nolan la svolta è arrivata a sette anni, quando scoprì la cinepresa Super 8 del padre, e andò a vedere 2001: Odissea nello spazio. “Lo proiettavano nel cinema più grande di Londra, a Leicester Square. È stata un’esperienza unica. Erano i tempi del primo Star Wars, e il film di Kubrick veniva riproposto in sala per il successo che aveva avuto in passato. È un viaggio da cui non sono ancora tornato”, dice il regista, che al Festival di Cannes presenta il cult del 1968, nella sua veste restaurata in 70 mm. Con lui ci sono la figlia di Kubrick, Katarina, e il cineasta Denis Villeneuve.
“Kubrick è andato oltre le regole narrative, ha riscritto la storia. Non ci sono limiti nella sua arte, ha reinventato completamente il cinema”. Nolan è un suo fan, e si dice che nel lavoro abbia lo stesso approccio meticoloso. Qualcuno cerca dei paragoni con Interstellar o mette in relazione Dunkirk con Orizzonti di gloria. Di sicuro in comune c’è la casa di produzione, la Warner Bros. “Avevo appena finito di girare Dunkirk, ed ero andato alla Warner per trasferire alcuni miei film in 4K. Mi hanno chiesto se volessi vedere un paio di copie originali di 2001: Odissea nello spazio. Ho accettato volentieri, e poi abbiamo deciso di celebrare i cinquant’anni di questo capolavoro. L’obiettivo è quello di trasmettere allo spettatore le stesse sensazioni di allora”.
Nolan crede ancora nella pellicola, e in Dunkirk ha alternato l’uso dei 70 mm a intere sequenze realizzate in Imax. “Digitalizzare è un modo fantastico per rendere accessibile a tutti la storia del cinema. Non è una guerra tra pellicola e digitale, ogni regista può usare il mezzo che vuole. Nel nostro caso, l’originale era bellissimo. Abbiamo lavorato come se fossimo negli anni Sessanta, rispettando i colori, il suono, perché non andassero persi”.
Nolan non ha frequentato scuole di cinema (non ha mai superato i test d’ingresso, come Spielberg) e ha iniziato la sua carriera girando il sabato con gli amici. “I soldi li mettevamo noi, ma non tutti arrivavano in orario alle riprese. Così dovevamo saper far tutto”. Ancora oggi non utilizza seconde unità: “Ogni scena che finisce in un film deve essere girata dal regista. Non esistono sequenze minori da delegare ad altri”.
Poi torna al suo esordio. In Following “gli attori imparavano i dialoghi a memoria e io li seguivo con la macchina da presa, vivendo ogni inquadratura tridimensionalmente. Ero immerso nella scena. È un modo naturale di sviluppare una vicenda. Sono d’accordo con Truffaut quando diceva che un film viene girato tre volte: in fase di sceneggiatura, produzione e montaggio. È un magnifico processo creativo, ma non bisogna mai perdere di vista il progetto originale”.
Spesso ha lavorato con il fratello Jonathan Nolan. “The Prestige è stata la prima volta che abbiamo scritto insieme. Amo condividere la settima arte con la mia famiglia e con gli amici di vecchia data”. E sul set accetta anche consigli: “Con la troupe nascono rapporti di grande fiducia. Le persone ti aiutano a capire anche quando stai sbagliando, così correggi la rotta”.
Ci sono delle regole da rispettare. Il pubblico deve potersi immergere in ciò che si racconta, per questo è essenziale semplificare le trame complesse, e i personaggi devono essere ben caratterizzati. “Nel caso dei blockbuster è molto importante la ricostruzione fisica dell’ambiente, come è avvenuto con Interstellar. Nella trilogia dedicata all’uomo pipistrello ho messo in scena le ombre di un supereroe. Bruce Wayne si sente in colpa perché la sua unica dote sono i soldi. Lui segue un percorso di crescita determinato dagli antagonisti. In Batman Begins il cattivo è un mentore. Il Cavaliere oscuro era un poliziesco sulla scia di Michael Mann e Joker è una sorta di terrorista. Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno è un film di guerra. L’eroe matura attraverso i suoi avversari”. Ma oggi è di nuovo il momento di alzare lo sguardo verso le stelle, perché il viaggio spaziale di Kubrick ci aspetta al cinema.