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lunedì 16 settembre 2024
 
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"Ci siamo abituati a vederli morire"

12/02/2016  Parla il presidente del centro Astalli per i rifugiati "I profughi, tra cui tantissimi, troppi bambini, continuano ad affogare nel Mediterraneo. Il silenzio è assordante, ogni morto è un fallimento per la nostra civiltà".

L’8 febbraio almeno 35 persone, tra cui 11 bambini, sono morte nell’Egeo, ma le prime pagine dei giornali non ne hanno parlato. Ci stiamo abituando: solo a gennaio, nel Mediterraneo hanno perso la vita in mare 366 profughi, 3.771 nel 2015 (quelli di cui si ha certezza, ma potrebbero essere molti di più), 3.500 nel 2014.

«Il silenzio è assordante, ogni morto è un fallimento per la nostra civiltà. Basta dire che è l’ennesima strage, va abolito l’aggettivo “ennesimo”: ogni naufragio è unico ed evitabile. “Ennesima” è l’inerzia di una certa Europa». Chi parla così è padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli ovvero il Servizio dei Gesuiti per i rifugiati.

In fila alla loro mensa di Roma, mentre parlava con chi ogni giorno riceve un pasto caldo, Papa Francesco disse che “i rifugiati sono la carne di Cristo”. Ne parliamo con padre Ripamonti.

-  Cosa ci dicono i 35 cadaveri dell’8 febbraio?

Accanto al dramma della loro morte, c’è quello della nostra indifferenza generale e della sconfitta dell’Europa. Con forza diciamo che queste morti meritano la prima pagina. Non solo non parliamo delle ragioni per cui si scappa dall’Eritrea, dalla Siria, dalla Somalia, o dall’Afghanistan, ma ci stiamo assuefacendo a morti che, volendo, sarebbero evitabili. Stiamo attenti a non azzerare i tristi bollettini con la fine dell’anno: è vero che siamo a quasi 400 vittime dall’inizio del 2016, ma sfioriamo le 7.700 accertate negli ultimi due anni. 

-  Perché dice che sono morti evitabili?

Da un lato per le cause: siamo sicuri che non potremmo fare di più per evitare che gli eritrei debbano scappare dalla dittatura? O i migranti dalla fame e dalla povertà nell’Africa subsahariana? Siamo alla vigilia dell’inizio del sesto anno di guerra in Siria: non ci siamo rassegnati con troppa facilità al fallimento dei colloqui di Ginevra? Ma soprattutto sono morti evitabili perché sono la conseguenza di una scelta europea: l’unico modo per entrare in Europa è pagare i trafficanti. Altro che lotta all’immigrazione clandestina, la nostra chiusura è il miglior aiuto ai trafficanti.

-  Cosa bisognerebbe fare?

A chi ha diritto va permesso di chiedere asilo politico senza rischiare la vita e senza foraggiare i trafficanti. Se Aleppo è assediata o una città siriana bombardata, è comprensibile e prevedibile che una madre provi a scappare per salvare i figli. Da tempo abbiamo chiesto di attuare corridoi umanitari che avrebbero evitato i cadaveri nel Mediterraneo. 7.700 morti “evitabili”, appunto. Se c’è volontà politica, i corridoi umanitari sono realizzabili: lo ha mostrato settimana scorsa la Comunità di Sant’Egidio, che ha portato una famiglia siriana vulnerabile (con una bambina malata) in modo sicuro, viaggiando in aereo verso l’Italia con un visto umanitario. Questo programma sperimentale, realizzato con le Chiese evangeliche e la Tavola valdese, riguarderà mille persone e indica un modello possibile.

-  Qual è il vostro giudizio sull’Europa?

Assiste inerte a migliaia di morti a pochi chilometri dalle sue coste. L’Agenda europea sulle migrazioni ha avuto il merito di optare per un approccio europeo e non nazionale, ma per esempio il ricollocamento in altri Stati europei è previsto su due anni per un numero di profughi inferiore a quello degli arrivi nel solo mese di gennaio. L’Europa rimane preoccupata solo di proteggersi, chiudendosi in difesa, anziché preoccuparsi di proteggere le vite e i diritti delle persone. Lo ribadisce anche nel Rapporto sul progresso nell’attuazione dell’agenda, diffuso il 10 febbraio dall’Ue: non c’è nulla per prevenire le morti, ma si parla ancora di Accordo di Dublino, proponendo di rimandare in Grecia i profughi fotosegnalati, mentre all’Italia si chiede di prendere le impronte digitali con maggior forza. Eppure anche i Paesi scandinavi, dopo essere stati all’avanguardia in materia di accoglienza, stanno facendo marcia indietro, uno dopo l’altro. La Svezia, il paese europeo che ospita più rifugiati in rapporto alla popolazione, ha annunciato il 27 gennaio che espellerà 80 mila profughi la cui domanda di asilo è stata respinta. Il giorno seguente è stata la Finlandia a stabilire l’espulsione di due terzi dei 32 mila richiedenti asilo arrivati nel 2015. Anche la sospensione del Trattato di Schengen va in questa direzione, mettendo in discussione una conquista importante come la libertà di muoversi nell’Ue. Tutte queste decisioni sono prese sotto la spinta del ritorno dei nazionalismi e della crescita delle istante xenofobe. Seguendo l’invito di Papa Francesco e affermando la natura universale del cristianesimo, le Chiese cristiane devono indicare la strada dell’accoglienza e del valore della vita umana. Veniamo da anni di discussioni, talvolta astratte, sulle radici cristiane dell’Europa: come porsi di fronte a morti “evitabili” è l’occasione per metterle in pratica.

(Nella foto: padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli per i rifugiati)

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