«Siamo di fronte a dati preoccupanti, perché denotano il perdurare di una grave fragilità, molto diffusa, del legame di coppia. Ma ancora più grave è la pressoché totale assenza di azioni positive, da parte della società e delle sue articolazioni amministrative, per sostenere le coppie in difficoltà». Questo il commento di Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari, sui dati Istat su “Separazioni e divorzi in Italia - Anno 2012”, diffusi lunedì.
Qual è il dato più interessante che emerge da questo rapporto? L’età media più alta di chi divorzia o l’aumento di separazioni e divorzi nel Mezzogiorno?
«Prima di tutto il dato che impressiona è il numero assoluto, che sfiora le 90mila separazioni in un anno, e che diventa un comportamento diffuso ed omogeneo in tutto il Paese. L'innalzamento dell'età media alla separazione è prevedibile, visto che si innalza sempre di più anche l'età del matrimonio. Ma è tanto più importante quanto più rimane distribuito in ogni fascia di durata della vita di coppia. Ci si separa dopo pochi anni di matrimonio, ma in misura significativa dopo 7 anni, dopo 15-20 anni, e persino dopo 25 anni di vita insieme. Questo dice che per le coppie di oggi, nel nostro Paese, ogni passaggio critico della vita familiare (che arriva sempre, non solo nei primi anni di vita) costituisce una sfida spesso insormontabile, nonostante lunghi anni di provata efficacia del legame (se si è arrivati a 20 anni di vita insieme il più è fatto, verrebbe da dire). Mi pare prevalga invece sempre più un'idea di “se c'è un problema, più che affrontarlo, evitiamolo, separandoci”».
Secondo alcuni politici ed esperti, la legge sul “divorzio breve” già approvata alla Camera faciliterà l’iter giudiziario di chi vuole separarsi e frenerà il “turismo divorzile” di chi va all’estero per farlo più in fretta. Dal punto di vista culturale, questa legge che segnale dà? «Di fronte ad una fragilità così grande del legame di coppia, ci si aspetterebbe un segnale di allarme, e la ricerca di soluzioni per sostenere tale legame, soprattutto se si tiene conto delle fatiche, delle sofferenze e dell'impoverimento economico che la separazione inevitabilmente porta con sé, sia per i due coniugi, sia per i figli eventualmente implicati. Invece la società ha abbandonato totalmente la coppia a se stessa, in una libertà che diventa solitudine e isolamento. Il detto “tra moglie e marito non mettere il dito" è diventato così non una giusta tutela dell'intimità e della libertà della coppia, ma il brutale messaggio: “Se siete in difficoltà, arrangiatevi". Piuttosto, la legge sul divorzio breve oggi in discussione sembra proporre la totale deresponsabilizzazione della società: se siete in difficoltà, come coppia, nessuno vi aiuterà, ma possiamo aiutarvi a separarvi prima possibile. Come se la tenuta del legame di coppia fosse totalmente privatizzata, senza valore e rilevanza sociale e per il bene comune. Invece la tenuta della coppia è un bene prezioso di coesione sociale e di responsabilità pubblica (non solo verso i figli, ma anche verso i coniugi), e servirebbe un esplicito progetto pubblico di sostegno alle coppie in difficoltà, anziché i pochi tentativi di mediazione familiare per "aiutare a separarsi bene". Occorre tentare di prevenire la separazione, non limitarsi a curare le sue conseguenze! Eppure laddove alcuni soggetti (soprattutto in ambito ecclesiale) hanno tentato di sostenere le coppie in crisi, i risultati sono significativamente positivi: nella maggioranza dei casi si riesce a superare la crisi, proteggendo così la continuità del progetto di coppia e di famglia, oppure si introducono elementi di attenuazione dei conflitti che sono più efficaci della "mediazione ex post". Ad esempio ipotizzando, per i figli, la costruzione di un "progetto educativo" esplicito e formalizzato, da condividere e sottoscrivere da parte di entrambi i partner, prima della vita da separati o della esasperazione del conflitto».
Il turismo divorzile è dipinto quasi come un’emergenza.
«In realtà, su questo il dato è davvero minimo; solo l'1% è andato in Spagna nel 2012, 500 casi su oltre 50.000 divorzi, cui aggiungere una cifra analoga in Inghilterra, e poco altro. Eppure viene sbandierato come un dramma sociale, con un'enfasi degna di miglior causa».