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sabato 21 giugno 2025
 
A un anno dalla scomparsa
 

Cino Tortorella, la magia del mago Zurlì vivrà nei nostri cuori

23/03/2018  Cristina D’Avena e l’ex direttore del “Giornalino” Tommaso Mastrandrea ricordano il conduttore televisivo: «Aveva ancora tanti progetti»

La calzamaglia azzurra l’aveva abbandonata nel 1972 eppure, malgrado le tante trasmissioni fatte, le mille iniziative culturali e di solidarietà, Cino Tortorella è rimasto per tutti il Mago Zurlì, il personaggio con cui aveva avuto successo prima a teatro e poi in Tv negli anni Cinquanta.

Nato a Ventimiglia il 27 giugno 1927, dopo essersi diplomato alla Scuola d’arte drammatica del Piccolo Teatro di Milano, nel 1956 debuttò sulla scena con lo spettacolo per ragazzi dal titolo Zurlì, mago Lipperlì, dal quale fu tratta la sceneggiatura del suo primo programma televisivo, Zurlì, mago del giovedì, andato in onda nel 1956 (sembra fosse stato Umberto Eco, allora funzionario Rai, a volerlo in Tv). Bacchetta magica, mantello, e pagliaccetto azzurri, il Mago Zurlì approdò allo Zecchino d’oro, la manifestazione canora per bambini creata dallo stesso Tortorella nel 1959 e che condusse ininterrottamente fino al 2002, entrando così nel Guinness dei primati «per aver presentato lo stesso spettacolo più a lungo di chiunque altro nel mondo».

Con i bambini ci sapeva proprio fare, si poneva in modo spontaneo e garbato, un filo di ironia e un grande rispetto per la loro sensibilità. Celebri i suoi siparietti con Topo Gigio, la mascotte dello Zecchino d’oro con cui continuò a dialogare anche quando aveva abbandonato i panni del mago e si presentava in Tv in giacca e cravatta.

Tra i tanti bambini che passarono dallo Zecchino d’oro, ci fu anche la piccolissima Cristina D’Avena, che aveva tre anni e mezzo quando nel 1968 cantò “Il valzer del moscerino”. «È stato un pezzo della mia vita, un riferimento, e ora lascia un vuoto immenso. Avevamo ancora tante cose da fare insieme, da dirci», racconta Cristina D’Avena. «Ricordo quando lo incontrai allo Zecchino. Era simpaticissimo, carinissimo con la calzamaglia, rassicurante. In studio mi avevano messo su un enorme cavallo a dondolo. Io ero un batuffolo e avevo paura di scendere. Lui mi prese e mi abbracciò. Di ricordi ce ne sono tanti anche da adulta. Il nostro era un rapporto molto bello, di stima reciproca e di grande affetto». L’ultima volta si erano incontrati tre mesi fa a Milano. «Sapevo che era stato male ed era molto dimagrito, ma lui aveva ancora voglia di fare, e così ci eravamo dati appuntamento allo Zecchino, che quest’anno festeggia i 60 anni. Era estremamente attivo e non voleva mollare. Parlavamo di futuro».

Cino Tortorella, che era ambasciatore dell’Unicef, per lo Zecchino d’oro aveva anche creato il “Fiore della solidarietà”, l’iniziativa benefica che ogni anno individua un progetto a cui destinare la raccolta fondi promossa dall’Antoniano di Bologna. Ma non di solo Zecchino è stata fatta la carriera di Tortorella. Molte le trasmissioni per ragazzi che portano la sua firma: Chissà chi lo sa?, Scacco al re, Dirodorlando. Lavorò anche nelle emittenti private, come Telealtomilanese e Antenna 3. Fu inoltre direttore artistico di Bravo bravissimo, trasmissione di Canale 5 condotta da Mike Bongiorno. Era un appassionato di cultura gastronomica, direttore del mensile Sapori d’Italia e collaboratore di Grand Gourmet. Ha anche collaborato con le riviste per ragazzi Topolino, Corriere dei piccoli e Il Giornalino.

A don Tommaso Mastrandrea, che è stato direttore del settimanale paolino per 24 anni, lo ha legato una lunga amicizia. «Mi sono incontrato con Cino Tortorella nel 1976», ricorda Mastrandrea, «pochi mesi dopo che ero diventato direttore de Il Giornalino. Cino era stato scelto come testimonial dall’agenzia promozionale incaricata per il rilancio del settimanale dei ragazzi, nelle scuole e negli oratori. La prima riunione di lavoro è avvenuta in un ristorante di cucina pugliese a Milano. Un tavolo appartato era stato riservato a noi. Scelta azzeccata, perché intorno a quel tavolo nacquero una montagna di idee. Nacquero anche una lunga amicizia e un sodalizio familiare. Ho visto crescere i suoi figli Guido, Chiara e Lucia. Ho battezzato Chiara di cui sono anche il padrino. Tra le tante cose, negli anni, Cino mi ha insegnato a sciare. Più di una volta abbiamo contemplato il cielo stellato a temperatura sottozero e ci chiedevamo se avremmo mai capito il grande mistero della vita, inquinato dalle cose futili e dalle follie umane. È tutto un incantesimo, una magia, ripeteva».

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