Camillo Regalia
Sono padri pallidi, ovvero presenti ma spaesati, poco normativi e iperprotettivi verso i figli. È questo il ritratto che emerge dalla ricerca Giovani in transizione e padri di famiglia del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia (Casrf) dell’Università Cattolica di Milano curata dalla professoressa Elena Marta, docente di Psicologia Sociale e di Psicologia di Comunità, e da Camillo Regalia, direttore del Centro. «Con un’originalità» spiega Regalia. «Un lavoro che non prende in considerazione il padre in quanto tale, ma come è cambiata la figura del padre concentrandosi sugli uomini che erano giovani adulti trent’anni fa, i primi a uscire tardivamente di casa negli anni Ottanta, e che oggi sono a loro volta papà di ragazzi adolescenti o pronti a entrare nella vita adulta».
Una figura che sempre più nel tempo, incrociando le ricerche che sono state svolte negli anni dal Casrf, «tende ad avvicinarsi a quella materna, creando così nei figli una percezione simile e univoca, con un unico specifico maschile: la protezione dai pericoli che il contesto sociale contiene». Padri scudo «che più che introdurre i figli al mondo, metterli “nel” mondo, cercano di proteggerli depotenziandone la spinta generativa. In nome di un’ideale autorealizzazione a discapito del crearsi una propria famiglia: “prima pensa a realizzare te stesso, per il resto c’è tempo”». Padri presenti ma spaesati: «che non riescono a dare un chiaro indirizzo alla vita dei figli. Uomini che non sono in grado, simbolicamente, di compiere il gesto di Ettore nell’Iliade quando solleva il figlio al cielo augurandogli così di avere una vita che superi le sue gesta. Questa funzione di rilancio in avanti, di andare oltre uno status quo è la cifra dell’esperienza paterna».
Padri che fermano il loro tempo «per vivere la vita “con e dei” propri figli e che si prodigano affinché non assumano rischi incapaci di capire, citando Silvia Vegetti Finzi, che non “sbucciarsi le ginocchia” diventa una delle più grandi rinunce e fonte di vulnerabilità e fragilità». Padri pallidi «non perché assenti, ma per la qualità della presenza che rischia di essere poco significativa per la vita dei figli. In una situazione, quella di oggi, complicata perché non vogliono essere autoritari come chi li ha preceduti, ma faticano a non appiattirsi sulla madre/compagna sempre più ingombrante. Ed è proprio questa ricerca di uno spazio adeguato che genera spaesamento. Quando, invece, il padre ha il compito non tanto di dire qual è la strada, ma che la strada esiste e ha un senso e che dipende da te percorrerla. Sta accanto e sostiene a una giusta distanza, non quella femminile che rende più difficile il distacco, ma neanche a una eccessiva che raffredda il legame e lo rende poco vivo». Una sfida enorme per i padri oggi che si occupano dei figli; «ma che quando da bambini diventano adolescenti perdono un po’ di smalto perché si sentono meno forti nella proposta. Per questioni legate alla società in cui sono immersi, una volta erano i padri a trasferire le competenze, adesso sono le tecnologie con cui i figli imparano da soli superando i genitori». Ma, più in generale, per il “mandato sociale” della famiglie: «Che un tempo era educare bene i figli affinché fossero bravi cittadini; mettere al mondo i figli “per il mondo”. Oggi è far sì che un figlio sia felice». Una messa in crisi generale delle coordinate di senso della famiglia «che in Occidente si è individualizzata: essere se stessi e realizzare se stessi». Con un imperativo di felicità e un paradosso, dettato dalle aspettative che la società butta come un macinio sui genitori, trascurando di offrire meno prospettive: «l’angoscia di papà e mamma di non fare abbastanza nel tempo, eppure, in cui ci si prodiga di più per i figli».