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lunedì 21 aprile 2025
 
 

Cinque anni per tradurre il Talmud

24/01/2011  Un'impresa... biblica per renderlo in italiano. E Di Segni, presidente del Collegio rabbinico italiano: "Inaccettabile imporre per legge ai musulmani di predicare in italiano".

“Un'impresa talmudica” scherza il Rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, presidente del Collegio Rabbinico italiano, “è molto di più di un'impresa biblica”. Ci vorranno infatti almeno cinque anni perché il Talmud sia tradotto anche in italiano.

 

     Il primo passo formale del “Progetto Talmud” è avvenuto venerdì scorso a Palazzo Chigi con la sottoscrizione di un Protocollo d’intesa, siglato dalla presidenza del Consiglio, dal ministero dell’Istruzione e l’Università, dal Consiglio nazionale delle Ricerche, dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e dal Collegio Rabbinico italiano.  A quest'opera lavoreranno in team botanici, biologi, filologi, linguisti, giuristi e tanti altri esperti delle più diverse discipline. Il lavoro è ampio e molti sono anche i nodi interpretativi del Talmud.

 

     Nonostante l'etimologia popolare che traduce Mosè in "tratto dalle acque", ad esempio, in assonanza con un verbo ebraico, il nome è verosimilmente egiziano. Forse è il suffisso che significa "figlio", cioè quanto rimane (l'ultima parte) di un nome composto. Ne esistevano tanti all'epoca: Tutmose, Ramses e simili.  Nei testi è frequente il passaggio di alcuni termini dal maschile al femminile o viceversa. Ad esempio c'è il libro Cantico dei Cantici, ma quella che eleva Mosè a Dio, dopo il passaggio del mar Rosso è una Cantica. Anche il pesce che viene mandato a divorare il profeta Giona, da maschile diventa femminile.

 

     “Le spiegazioni degli esperti sono molteplici, ad esempio sarebbe femminile un termine quando ha a che fare con il parto, con una nascita o rinascita” spiega Di Segni.

 

Chi non ricorda nel film Il mio grosso grasso matrimonio greco il padre della protagonista che sfida chiunque incontri a dire una parola qualsiasi per potergli dimostrare l'inconfutabile origine greca della stessa?Verrà messo in difficoltà solo da “kimono”, ma anche in quel caso troverà il modo di cavarsela egregiamente.

 

     Allo stesso modo molti ebrei sono spesso persuasi che l'ebraico sia stata lingua universale parlata da tutti, per poi differenziarsi nelle tante lingue dell'antichità che conosciamo. Persino Dante ne era convinto e lo afferma infatti nel De Vulgari eloquentia.
O forse, invece, quando si verifica il famoso episodio della Torre di Babele, l'ebraico era usato semplicemente come lingua franca?

 

     Sul tema L'origine e la parola si sono confrontati alla Biblioteca del Cnr di Roma, la scorsa settimana, Riccardo Di Segni, presidente del Collegio Rabbinico italiano, e Pietro Beltrami, direttore dell'Opera del Vocabolario.

 

     L’ebraico è vivo da alcune migliaia di anni (il suo calendario, infatti, segna oggi l’anno numero 5771), nonostante che per diciannove secoli gli ebrei non abbiano più avuto una propria patria. Forse proprio alla diaspora e alle varie persecuzioni culminate con l’orrore della Shoah, la lingua custodita dalle scuole rabbiniche e nel culto deve oggi la sua straordinaria sopravvivenza, avendo ritrovato con la nascita dello Stato d’Israele, il rango di lingua nazionale e diventando lingua di comunicazione tra gli ebrei da un capo all'altro del mondo.

 

     “La lingua ha mantenuto in questa fase così drammatica un valore identificante, unitario. Tradurre i libri sacri nelle varie lingue avrebbe significato rompere questa unità” spiega Di Segni. “I testi religiosi si studiano in originale, non nelle traduzioni, per questo anche ai bambini delle elementari si insegna l'ebraico”.

 

     Non è casuale questo legame con la parola. Dio crea il mondo con la parola, la Bibbia comincia con la parola. Per gli ebrei non esistono “i dieci comandamenti”, ma “le dieci parole”. Parola è un termine che in ebraico ha la stessa radice di “deserto”, “distruzione”, “taglio”, “recidere”. Forse perché parlare è “tagliare” le espressioni?

 

     “Si cerca di capire il senso delle cose indagando le parole”, spiega Di Segni. “Buona parte della costruzione interpretativa dei testi che è andata avanti per secoli se non per millenni è costruita sulla ricerca del senso delle parole”. Anche per questa ragione l'ebraico è stato sempre legato al culto, in tutto il mondo. Nella cristianità, invece, la Riforma protestante già nella prima metà del Cinquecento afferma che la Chiesa deve parlare la lingua della gente. Nella Chiesa cattolica bisognerà aspettare il Concilio Vaticano II per passare dal latino alla lingua del proprio Paese.

 

     “L'ebraico come lingua parlata è storia recente e sicuramente tra 50 anni non sarà più la stessa lingua, evolverà. Finora, invece, essendo stata poco parlata, è rimasta pressoché invariata. Chi legge il giornale in Israele è in grado di leggere la Bibbia abbastanza bene, non c'è neanche la difficoltà che può incontrare un italiano con il linguaggio di Boccaccio e Machiavelli”.

 

Ci sono diversi tipi di potere nella società, il potere della cultura è sempre stato rilevante nella società ebraica. In certi momenti della storia c'era un traduttore che traduceva in aramaico quello che il maestro diceva in ebraico. Non scrivendo le vocali, poi, il testo si presta sempre a molte interpretazioni.

 

     Dove l'ebraico è stato disperso ha dato luogo a lingue locali, come l'yiddish, un ibrido tra ebraico e tedesco medioevale oppure il giudeo italiano che a Roma diventa un giudeo romanesco e conserva alcune parole del vecchio romanesco, con miscugli curiosi. Il verbo “ingarellarsi” ad esempio viene dall'ebraico “ngarel” che vuol dire “non circonciso”.

 

     La lingua ebraica è stata sempre una fonte inesauribile di ricerca e di stupore, tanto che Leone da  Modena, nella Venezia del Seicento compone un sonetto che si può leggere sia in italiano che in ebraico e ha un significato, seppur diverso, in entrambe le lingue.

Il titolo “Chi nasce mor” diventa “Conserva questa elegia” mentre la prima riga “Mosè morì” si può leggere “Mosè mio maestro”.

 

     Insomma chi ha la cultura, ha il potere e sa come usare abilmente la lingua.

“Oggi in Italia si vorrebbe imporre per legge ai musulmani di predicare in italiano nelle moschee, ma a me sembra francamente inaccettabile”, afferma Di Segni.

 

 

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