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A dargli la notizia è stato Salvo Palazzolo, cronista di giudiziaria di Repubblica. Spulciando le carte depositate dai magistrati in settimana sulle intercettazioni nel carcere di Opera, il giornalista palermitano legge di quelle minacce di Riina a don Luigi Ciotti e lo chiama. «Lui non ne sapeva niente», dice Palazzolo. Il boss è arrabbiato con quella Chiesa che, alla vigilia del ventesimo anniversario dell'uccisione di don Pino Puglisi, vuole rilanciare il messaggio del sacerdote ucciso dalla mafia. Riina parla con il suo compagno d'aria, il boss pugliese Alberto Lorusso. Minaccia il giudice Di Matteo, come viene subito svelato. Ma minaccia anche il fondatore di Libera. «Ciotti, Ciotti, putissimu pure ammazzarlo», dice nel suo sfogo. Al centro del suo odio innanzitutto don Puglisi, che voleva «comandare il quartiere. Ma tu fatti il parrino (sacerdote, ndr), pensa alle messe, lasciali stare... il territorio... il campo... la Chiesa... lo vedete cosa voleva fare». E poi se la prende con don Ciotti, «questo prete è una stampa e una figura che somiglia a padre Puglisi».
A Riina non va giù l'impegno di don Ciotti e di Libera. «Sono sempre agitato perché con questi sequestri di beni...», dice il boss di Cosa nostra. Confermando quanto sia fondamentale per combattere le mafie la battaglia di Libera per il sequestro e la gestione dei beni confiscati alla criminalità».
A Riina non va giù l'impegno di don Ciotti e di Libera. «Sono sempre agitato perché con questi sequestri di beni...», dice il boss di Cosa nostra. Confermando quanto sia fondamentale per combattere le mafie la battaglia di Libera per il sequestro e la gestione dei beni confiscati alla criminalità».





